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19/04/2015 06:45:00

Trattativa, un pentito racconta: "Messina Denaro non può essere il capo della mafia"

 "Matteo Messina Denaro non e' il capo di cosa nostra. Lui e' il capo mandamento di Trapani. Il capo di cosa nostra deve essere un palermitano". Lo ha detto il pentito messinese Carmelo D'Amico riferendo quanto appreso in carcere dal boss mafioso palermitano, Antonino Rotolo. Il collaboratore di giustiziaha deposto in video conferenza da un sito protetto, nel processo per la trattativa Stato-mafia.
"Cosa nostra, i servizi segreti e alcuni politici volevano governare l'Italia. I mandanti delle stragi del 1992 erano Andreotti e i servizi segreti che avevano poi delegato a Riina, e a cosa nostra, la commissione degli omicidi sia di Falcone" ha aggiunto D'Amico. Nel corso della sua deposizione D'Amico dichiara, sempre citando Rotolo: "Dopo le stragi altri politici come Mancino e Martelli, tramite Ciancimino, si fecero sotto, per trattare. E Dell'utri fece il doppio gioco". D'amico sottolinea piu' volte davanti alla Corte d'assise di temere per la sua vita: "Dottore Di Matteo, io sto benissimo. Godo di ottima salute e non mi voglio suicidare. Ma i servizi segreti sono capaci di tutto", dice il pentito al Pm.

"Tra i politici che hanno fatto accordi con cosa nostra ci sono anche Angelino Alfano e Renato Schifani, che sono stati eletti con i voti della mafia". D'Amico ha detto di avere appreso la circostanza in carcere. "Alfano — ha aggiunto — lo aveva portato la mafia, ma lui poi le ha girato le spalle". Il collaboratore di giustizia ha anche aggiunto: "Forza Italia è nata perché l'hanno voluta i servizi segreti, Riina e Provenzano, per governare l'Italia. Berlusconi era una loro pedina". D'Amico ha anche rivelato che in carcere i boss votarono tutti Forza Italia. 
Il pentito si addentra nei misteri d'Italia e afferma: "Il boss Nino Rotolo mi rivelò in carcere che i mandanti delle stragi di Falcone e Borsellino furono Andreotti, altri politici e i servizi segreti. Spinti da questi ultimi, i ministri Mancino e Martelli si rivolsero a Ciancimino, tramite Cinà, per arrivare a Riina e Provenzano". D'Amico ha continuato nelle dichiarazioni affermando che "Riina inizialmente non voleva accettare i contatti, ma poi fu convinto da Provenzano e insieme scrissero alcuni punti come quelli sull'alleggerimento delle normative sui sequestri dei beni".

Inoltre, secondo la testimonianza resa in aula, "la condanna a morte di Nino Di Matteo era stata decretata da cosa nostra e dai servizi perché stava arrivando a svelare rapporti costanti ed era peggio di Falcone". Il pentito ha riferito anche che i servizi, che inizialmente volevano uccidere anche l'ex pm Antonio Ingroia, avevano mandato a Provenzano l'ambasciata di uccidere i due magistrati. Ma il boss non voleva più bombe e allora si decise di procedere con un agguato. "I boss Nino Rotolo e Vincenzo Galatolo — ha aggiunto D'Amico — aspettavano in carcere la notizia dell'omicidio di Di Matteo, ma avevano deciso che se ciò non fosse accaduto, avrei dovuto pensarci io una volta uscito dal carcere".

SGARBI. Vittorio Sgarbi chiede le dimissioni del ministro dell’Interno Alfano dopo le rivelazioni, al processo Stato-Mafia, del pentito di mafia Carmelo D’Amico. «A fronte della predicata azione antimafia e della logica del sospetto come anticamera della verità, dopo le dichiarazioni del neo pentito di mafia Carmelo D’Amico, e visto il comportamento corretto del ministro Lupi in occasione di un’analoga vicenda di sospetti, è inevitabile che il ministro Alfano si dimetta, per risparmiare all’Italia l’onta di un ministro dell’Interno eletto con i voti della mafia, cosa certamente verosimile ad Agrigento. Soprattutto se si valuta con quale infondato fumus il predetto ministro abbia sciolto per mafia, senza alcun riscontro certo, molte amministrazioni comunali».