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10/03/2015 07:18:00

Petrosino, incidente mortale: si procede per omicidio colposo. Ballatore, processo al via

  Omicidio colposo è il reato contestato dalla Procura a Vincenzo Patti, 43 anni, che il 20 agosto 2013 era alla guida della macchina vendemmiatrice che, secondo l’accusa, avrebbe schiacciato contro i pali e i fili in ferro del vigneto a “spalliera” l’anziano agricoltore petrosileno Pietro Pipitone, padre di Salvatore Pipitone, ex assessore nella giunta del sindaco Biagio Valenti. Per Patti la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Il 19 marzo l’udienza preliminare davanti al gup. Inizialmente, era stato indagato Massimo Pipitone, figlio minore della vittima, che quel giorno guidava il camion utilizzato per il trasporto dell’uva. Poi, la posizione del giovane, difeso dall’avvocato Ignazio Bilardello, è stata archiviata. L’indagine, però, non si è fermata e grazie alla perizia effettuata da Luigi Simonetto e da un medico legale, nonché alle testimonianze di altre persone che vendemmiavano nella zona (campagne di Mazara) è stato avviato il procedimento a carico di Patti. L’imputato è difeso dall’avvocato Carlo Ferracane. Per quest’ultimo, però, “non è possibile che sia stato questo il mezzo che ha cagionato il decesso, perché non può fare marcia indietro e poi riteniamo che non sia stato l’ultimo a passare da lì”. Intanto, la famiglia Pipitone (moglie della vittima e i tre figli) ha chiesto di costituirsi parte civile.

BALLATORE. E’ iniziato il processo che vede imputata, per concussione (attraverso “tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità ad utenti”) e falso ideologico, la 63enne mazarese Anna Maria Ballatore, cancelliere del tribunale civile marsalese. Alla Ballatore - che nel maggio 2014 fu posta agli arresti domiciliari dai carabinieri - si contesta di avere abusato della qualità e dei poteri connessi alla sua funzione di pubblico ufficiale. In un caso, dopo essere stata incaricata dal giudice tutelare di redigere l’inventario dei beni ereditari di due fratelli, di cui uno minore, avrebbe costretto l’erede maggiorenne, una donna, tutore del minore, a consegnare una somma di danaro (pare, alcune centinaia di euro) e a sottoscrivere un atto nel quale attestava di non avere corrisposto alcuna somma di denaro, mentre in un’altra occasione avrebbe tentato di indurre un avvocato, che assisteva una vedova, madre di due minori, nel procedimento di accettazione dell’eredità del proprio defunto marito, a corrisponderle una somma di denaro contante sempre per redigere l’inventario dei beni ereditari. Nel primo caso, in particolare, veniva spiegato nella nota diffusa dai carabinieri dopo l’arresto, “le indagini hanno acclarato come l’indagata, in un primo momento, aveva trattenuto presso la cancelleria il fascicolo contenente l’istanza con la quale la parte offesa chiedeva di essere nominata tutore del di lei fratello minore, per oltre 5 mesi, senza trasmetterlo al Giudice tutelare; successivamente, una volta incaricata della redazione dell’inventario dei beni ereditari in quel procedimento, aveva preteso ed ottenuto dalla denunciante il pagamento di una somma di danaro con la minaccia che, in caso contrario, non avrebbe redatto l’inventario e rappresentando alla donna che, trattandosi di un compito particolarmente complesso, la sua rinuncia a quell’incarico avrebbe provocato per lei un ulteriore indeterminato ritardo, irrimediabilmente pregiudizievole dei diritti suoi e del suo pupillo”. L’inchiesta, scattata dopo una denuncia, è stata coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito. Quattro le parti civili: Sara Bonafede e gli avvocati Riccardo Marceca, Antonella Caruso e Smeralda Rubino. A difendere la cancelliera finita sotto processo sono gli avvocati Stefano Pellegrino e Salvatore Errera. Per l’ipotesi di concussione ad opera di un pubblico funzionario il codice penale prevede una condanna da sei a dodici anni di carcere. Nella prima udienza, il tribunale ha ammesso le liste dei testi: 23 del pm e 24 per la difesa. Il 29 aprile, in aula, saranno ascoltati i primi testi d’accusa. E cioè i carabinieri Colucci, D’Angelo, Lentini, Genovese e Buffa.



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