E’ scattata all’alba di eri mattina la protesta dei circa 150 profughi africani ospiti delle camere dell’Hotel Villa Mokarta. Dove una volta, si pensava fossero venuti a grappoli i turisti, come promesso dall’ex sindaco Sgarbi, oggi vi opera un CAS, un centro di accoglienza di richiedenti asilo. Sono arrivati dal Gambia, Costa d’Avorio e Senegal, in gran parte, a bordo di ogni tipo di imbarcazioni e posti in salvo grazie all’ormai scaduta operazione militare e umanitaria denominata «Mare nostrum”. Sono più di 1.500 i migranti accolti negli hotel siciliani. Ma questo di Salemi è diventato subito famoso, grazie ad un colorito articolo di un noto settimanale, ripreso poi per scopi politici dalla propaganda xenofoba della Lega Nord. Il ritornello sempre lo stesso: neri africani trattati con i guanti gialli ospitati in lussuosi alberghi a tre stelle, italiani invece sempre più in miseria. Agli albergatori, dopo avere dato la disponibilità alla prefettura, è stato facilissimo riconvertire l’attività. Niente di più facile che costituire una cooperativa o un’associazione approntare uno staff di mediatori culturali e psicologi, garantire vitto, alloggio e raccordarsi con le istituzioni. E il gioco è fatto. Firmata la convenzione con la prefettura, si ricevono 35 euro al giorno per ogni profugo ospitato. Un fenomeno tutto nuovo. Certamente un nuovo bussiness. C’è chi lo considera in senso negativo e chi, invece, una legittima attività a carattere sociale in grado di soccorrere i più deboli e al tempo stesso garantire una nuova fonte occupazionale giovanile ed un innalzamento del reddito individuale in una zona in cui le statistiche ci indicano livelli tra i più bassi d’Italia. Del resto, nei diversi incontri avuti, è stato lo stesso gestore dell’ormai ex hotel, Salvatore Cascia, a confermarcelo. Dei turisti promessi da Sgarbi, nemmeno l’ombra. “Abbiamo di conseguenza colto al volo la nuova opportunità e deciso la riconversione dell’attività”, mi ha sempre ripetuto l’imprenditore di Salemi. In verità una via intrapresa a Salemi anche da altri. E’ questa infatti la città in cui sono utilizzati più centri della provincia. Vi operano: il centro MSSI sito in via Alberto Favara, gestito dall’associazione MSSI; il Centro Sicilia Bedda, gestito dall’Associazione Sicilia Bedda; il centro Terraferma in contrada Bagnitelli, gestito dalla omonima onlus, e il Cas Fiumelungo, gestito dal Consorzio Solidalia. Gli ospiti di questi centri dovrebbero rimanere qualche mese al massimo, in attesa che le commissioni interprovinciali valutino il loro status di rifugiati. Ma le cose nella realtà sono ben diverse. I giorni si susseguono ai giorni, sempre uguali nella noia e nell’inerzia, nell’attesa di ricevere l’agognato foglio che attesti l’ambito status di rifugiato. La noia, l’ozio e la frustrazione, come si sa, sono cattive consigliere. Se poi ci si aggiunge qualche volontà preordinatrice, come ci sembra essere stato in questo caso, le conseguenze sono quelle che abbiamo visto ieri mattina. La struttura fin dalle prime luci del giorno è rimasta isolata. Il cancello d’ingresso sbarrato con una grossa fune e ostruito da un cassonetto, due calcio balilla, un carretto siciliano e altro materiale ingombrante. Rinchiusi vi rimanevano, oltre agli stessi protestatari, il portinaio e la madre del signor Cascia. Il sistema di videosorveglianza distrutto, alcune suppellettili e vasi buttati dai piani superiori nel sottostante androne d’ingresso. La tensione che si tagliava a fette. L’ingresso veniva negato alle forze di polizia intervenute. Il motivo principale che ha fatto scattare la contestazione ancora una volta sono i sei/sette mesi che ci vogliono per ottenere l’attestato. Tempi ritenuti insopportabili per loro e incomprensibili per noi. Se si pensa, infine, che gli sbarchi saranno destinati ad intensificarsi, sia per i ben motivi legati alla catastrofe libica, sia perché ci si avvia verso la stagione meteorologica più mite, il quadro che ne esce fuori non è certo tra i più rosei. E appena due giorni addietro c’è stato l’ultimo sbarco di 186 persone nei pressi di Trapani. Soltanto verso le prime ore del pomeriggio la protesta è rientrata. La madre di Cascia e il portinaio hanno potuto varcare in auto il cancello per fare ritorno a casa, mentre finalmente il capitano dei Carabinieri Fabio Manzo della Compagnia di Mazara, il Comandante della stazione dell’Arma Calogero Salvaggio, la dottoressa Cinzia Castiglione e l’Ispettore Maniscalco del Commissariato di Polizia di Alcamo potevano entrare per ascoltare dalla loro viva voce le motivazioni della contestazione. Come in una surreale sequenza di un film di Emir Kusturica, subito due ragazzi hanno preso il bigliardino che faceva da barriera al cancello, l’hanno posizionato in mezzo allo spiazzale e hanno iniziato a giocare sotto lo sguardo stupito degli uomini in divisa e di noi della stampa, a cui ancora veniva impedito di varcare le sbarre. Una scena questa, che la dice lunga sulla maturità di questi diciottenni, che però potrebbero diventare strumenti devastanti nel mani di ben altre menti e per altri progetti nefasti.
Ci siamo resi conto che le forze dell’ordine sono impotenti a questi atti di vandalismo. Come pure crediamo che la sicurezza dei lavoratori di questi centri di accoglienza non sia delle migliori. La vicenda di Mokarta è solo l’ultima di una lunga sequenza cronologica. Ci raccontano che non sono rari episodi di minacce verbali e non solo. Quando, infine, siamo stati lasciati entrare, lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi non era dei più esaltanti. Salendo le scale, ad ogni pianerottolo, ci imbattevamo in cumuli di rifiuti maleodoranti. Only today? Solo oggi è cosi? Chiediamo. “Every day”, ogni giorno, la risposta. E’ la verità? Il dubbio è d’obbligo, in questi casi. E poi c’è chi ti fa vedere che l’acqua calda non esce dai rubinetti, chi l’umidità sui muri delle camere da letto, chi si spoglia mostrando eritemi e chiazze sparse lungo tutto il corpo, chi ancora ritiene eccessivo il numero di sette/otto persone per ogni camera, chi ritiene insufficiente la coperta per ripararsi dal freddo invernale. Pensiamo a quelli dell’Onu. Ci viene in mente Bertolt Brecht quando si domandava “Chi controllerà che i controllori controllino?”. Ma al primo posto ci viene messo sempre e comunque la lunga attesa che viene consumata per l’ottenimento del famoso riconoscimento ufficiale della qualifica di profugo. Chissà cosa ne penserà il prefetto Falco, che tanta energia ha messo per assicurare il meglio a questi figli del Continente Nero. A Villa Mokarta è pomeriggio inoltrato. Guardiamo la piscina melanconicamente vuota. Pensieri neri, come le nuvole che ci sovrastano, vorrebbero sopraffarci. E’ difficile liberarsene.
Franco Ciro Lo Re