Il suo volto serio, risoluto, reso riconoscibile da una benda apposta sull’occhio sinistro, è in prima pagina sui giornali da ormai diversi giorni. Il volto è quello di Massimo Carminati, sospettato di essere a capo della cosiddetta “Mafia Capitale”, organizzazione criminale in grado di controllare tutta Roma grazie alla propria rete di conoscenze ed amicizie. La sua vita all’interno del mondo criminale romano, iniziata nei lontani anni ’70, è talmente controversa e piena di vicissitudini da poter essere un romanzo. Per la precisione, un “Romanzo Criminale” perché è proprio a lui che si ispira il personaggio de “Il Nero” nel celebre libro scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo e che ripercorre la storia della Banda della Magliana.
Il suo arresto riporta alla luce aspetti della storia italiana che sembravano ormai essere caduti nell’oblio, riaprendo ferite mai completamente rimarginate e facendo riemergere paure mai scomparse.
Sin dall’inizio la figura Massimo Carminati è legata a doppio filo con gli ambienti di estrema destra romana e la criminalità organizzata. E’ un militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari di Valerio Fioravanti: in particolare, è uno degli esponenti di spicco della falange armata del gruppo neofascista.
La sua fortuna risiede nella camaleontica abilità di saper destreggiarsi tra i vari ambienti della malavita romana. E a Roma, in quegli anni, è la Banda della Magliana a comandare. Carminati riesce a diventare l’anello di congiunzione tra il gruppo militante di estrema destra e la Banda, che controlla tutte le attività illegali della capitale e che ha rapporti d’affari con le organizzazioni criminali di tutta la penisola, soprattutto con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e con la Mafia siciliana. Instaura un rapporto particolare con Franco Giuseppucci, detto “Er Negro”, unico vero leader carismatico di una Banda che non ammette sgarri. I componenti della Banda non hanno paura a sparare ed è per questo motivo che a Roma vengono temuti da chiunque. Carminati si avvicina ai ragazzi della Magliana, li osserva, li studia per capire come poter interagire con loro ma, come ammesso da lui stesso, non condivide il modus operandi. La Banda si serve del gruppo armato dei NAR per compiere diversi crimini, dalle rapine agli omicidi. Così “Er Cecato”, come verrà soprannominato dopo aver perso l’occhio sinistro in una sparatoria, funge da intermediario tra le due fazioni e riesce a ritagliarsi uno spazio via via più importante all’interno del contesto criminale dell’epoca. Il suo nome salta fuori in occasione di qualsiasi azione criminale, sia nella capitale che fuori. E’ lui ad essere uno dei primi indiziati per la Strage di Bologna del 2 Agosto 1980, è lui a tentare di depistare le indagini, ad essere sospettato (salvo poi essere assolto nel 2003, lasciando il caso irrisolto) di aver ucciso il giornalista Mino Pecorelli ed è lui a commettere diversi omicidi per conto della Banda della Magliana. Anche dopo l’uccisione di Franco Giuseppucci, Carminati continua a portare avanti il proprio sodalizio con la Banda della Magliana che, però, comincia a sfaldarsi. L’abilità di Carminati è quella di diventare amico del più influente dei membri della Magliana: si tratta di Renatino De Pedis, “Il Dandi” di Romanzo Criminale, uomo dal gusto raffinato e unico membro della Banda dall’indole imprenditoriale. Non c’è affare che si svolge nei salotti della Roma bene che non possa essere collegato al suo nome. Uno che, come affermato da qualcuno, “se fosse ancora in vita, oggi avrebbe un posto in Parlamento”.
In questo contesto, Massimo Carminati riesce sempre nel suo lavoro da intermediario, da uomo della “terra di mezzo” come egli stesso si è descritto recentemente. E’ in grado di trarre vantaggio da tutte le situazioni che gli capitano: frequenta gli ambienti di estrema destra, impara come farsi rispettare da Franco Giuseppucci e riesce a soppiantare De Pedis dopo la sua morte, quando quest’ultimo era riuscito a creare una rete di agganci ed amicizie che gli permetteva di essere definito “il Re di Roma”. Adesso tutti lo temono ed il suo nome viene timidamente bisbigliato per paura di essere sentiti. Negli anni, Carminati allarga le proprie conoscenze e non dimentica gli amici di un tempo, diventando così vera e propria figura centrale della malavita romana e, ancora una volta, trait d’union con gli ambienti della politica, della criminalità organizzata e non solo.
I risvolti degli ultimi giorni riportano alla luce ombre di un passato mai dimenticato, parlano di ambienti di estrema destra che continuano a gravitare attorno ai salotti in cui si decide il destino della capitale, di un’organizzazione talmente estesa da coinvolgere criminali, imprenditori, funzionari della pubblica amministrazione e politici di grande rilievo. I suoi contatti includevano, inoltre, la “batteria” di Ponte Milvio che controlla i locali della movida romana e la potente famiglia di origine rom dei Casamonica.
Un’organizzazione in cui gli affiliati si occupavano di appalti, gestione di cooperative, imprenditoria e criminalità. E, soprattutto, un’organizzazione in grado di gestire tutti i servizi: in particolare quello dell’accoglienza. Perché, a detta di Carminati stesso, “l’immigrazione rende più della droga”.
Una nuova mafia, moderna e senza riti d’affiliazione, ma la cui influenza non aveva limiti. Una mafia che si affida agli esperti della criminalità, che nonostante passino gli anni, restano sempre al proprio posto. Adesso però, dopo gli ultimi arresti, anche i piani alti di Roma cominciano a tremare.