A primo acchito può sembrare inopportuno il disegno, sgraziato e sfrontato, dei corpi da marciapiede che impagina la raccolta di riflessioni “Parole e...parole” di Gina D'Angelo, con gli editori Mohicani in Palermo. Eppure, appena si legge che “I peggiori degli uomini hanno dirottato con l'inganno...” si intuisce che un insano meccanismo di esclusione perpetua immagini così crude. E possono anche impietosire. L'analisi incalzante quanto elegante si concentra, con la singolare arguzia di unificare saggezza popolare e cultura alta, sui mezzi e sugli apparati che gli uomini di potere sfruttano per trasformare in follia una molecola di mondo – una delle diverse strutture di potere – che vuole essere mondo. Le parole, antichi veicoli di pensieri, sono mezzi primari di comunicazione, non sono neutre e raramente sono la realtà. Indelebili se sono vere, e quando toccano le radici delle cose sono la via maestra per incontrare uomini veri. Se superflue creano fumo, per ingannare meglio e creare uomini in serie. Furono miele le parole che alimentarono l'animo di Alessandro, ma secondo Luciano divennero fiele quando lo stesso qualificò un impostore il suo maestro Aristotele. I fatti, non le interpretazioni, provano la spietatezza con cui quel guerrafondaio conquistò il mondo. Da una ricerca multidisciplinare si rivela esemplare la figura doppia del “saggio” Seneca nell'educazione di Nerone. Si ha ragione di dubitare, perfino, chi sia stato il carnefice e la vittima. In effetti, l'abitudine a pane e letteratura porta l'autrice a offrire un'abbondante galleria di illustri ma cattivi maestri. Fior di principi sono formati secondo metodi e istruttori più collaudati col risultato, ripetuto nel tempo, di accrescere l'autorità e diminuire la responsabilità. E il pensiero corre all'attuale pletora di eccellenti consulenti-collaboratori che strisciano per i loro interessi di parte negli anonimi centri di dominio finanziario e rendere greve l'anelito di vita più innocente. Fino a che punto si può essere competenti ed onesti senza fare il gioco di un settore-mondo iniquo e inumano? Altro che “magnifiche sorti e progressive” del Recanatese se si rivive, in forme più sofisticate e con parole sempre meno buone, “il tempo della pietra e della fionda” del Modicano. Come uccello chiama uccello così un'idea tira l'altra, accrescendo con benefico vaglio critico la materia in vastità e in profondità. Scaturiscono, dalle brevi ma appassionate pagine, situazioni e profili umani che possono provocare nel lettore qualche non condivisione. E' difficile, d'altra parte, sfuggire a un'esuberanza di pensiero così irrequieta ed emancipata senza farsene contagiare. Ma, poi, lo scopo di un libro non è proprio il dialogo fecondo tra autore e lettore?
Peppe Sciabica