Il 29 luglio 1993 il Sismi in una "nota interna" sosteneva che una fonte "ancora da verificare" aveva conoscenza e quindi riferito del rischio concreto di un attentato, da compiersi tra il 15 e il 20 agosto di quell'anno, nei confronti di soggetti politici di rilievo, "in particolare Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano". I contenuti della nota vennero poi ribaditi dal Sismi che, qualche giorno dopo, il 4 agosto '93, decide di "esternare" l'informazione che viene cosi' trasmessa ai gabinetti dei ministeri della Difesa, dell'Interno, al comando generale dei carabinieri e della Guardia di finanza, al Sisde, alla Dia. La nota del Sismi e' stata depositata oggi, dai pm della Procura di Palermo, al processo sulla trattativa Stato-mafia.
Non solo. La nota fa parte di un carteggio che l'accusa ha prodotto; un carteggio inviato nel 2002 dal Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) al pm fiorentino Gabriele Chelazzi che indagava sulle stragi in Continente del 1993 e morto a aprile dello stesso anno. Atti di un procedimento che, a Firenze, e' stato archiviato, ma su cui i pm palermitani ritengono di dovere approfondire alcuni aspetti. Dagli atti depositati dal pm emerge che - in piena emergenza in seguito alle bombe che da maggio a fine luglio 1992 scoppiarono da Roma a Firenze a Milano - il 6 agosto 1993 al Cesis ci fu un vertice sull'argomento a cui parteciparono i massimi vertici dei servizi, delle forze dell'ordine e anche un rappresentante del Dap (il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria). Alla fine venne redatto un verbale in cui si analizzano le stragi e si ipotizzano vari mandanti tra cui Cosa nostra, il terrorismo internazionale e gli anarchici italiani. Una tesi, per certi versi fuorviante, tanto che il 10 agosto il capo della Dia Gianni De Gennaro scrive una informativa in cui, per la prima volta, viene descritto lo scenario sulle bombe del 1993, piazzate dalla mafia, sosteneva la Dia, che "voleva intavolare un tentativo di dialogo con lo Stato sul tema del 41 bis". Una posizione ribadita successivamente dallo Sco (Servizio centrale operativo), guidato allora da Antonio Manganelli, attraverso una conferma avuta da una fonte.
All'udienza di ieri del processo sulla trattativa è stato interrogato Angelo Siino, che per conto delle cosche dsi occupava degli appalti pubblici. «Calogero Mannino - ha detto, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo sull'ex ministro Dc, che viene processato separatamente con rito abbreviato - "spatoliava" alla grande contro di me, ritenendo di avere trovato in me non solo il bandolo degli appalti, ma addirittura di Cosa nostra siciliana. Fu Mannino all'origine della mia rovina, dei miei guai giudiziari e del mio arresto. Fu lui a dare l'input al rapporto mafia e appalti del Ros. Tramite il maresciallo Giuliano Guazzelli contattò il generale Antonio Subranni e quindi il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno del Ros».