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11/10/2014 00:00:00

Trattativa Stato - mafia, il no a Bagarella e Riina al Quirinale. L'opinione del giurista

 "La decisione della Corte d'Assise di Palermo è estremamente logica e rispettosa delle prerogative e dei limiti stabiliti dal diritto costituzionale, non solo italiano. Pensare che il Capo dello Stato sia un soggetto uguale a tutti gli altri, significa confondere l'istituzione con la persona. Le istituzioni marciano sulle gambe degli individui, ma in quanto istituzioni sono tutelate: confondere le due cose e pensare che il Capo dello Stato sia un cittadino qualsiasi, al punto da farlo incontrare con dei boss mafiosi al Quirinale, significa avere un'idea non corretta dei poteri e delle garanzie costituzionali". E' l'opinione del costituzionalista Francesco Clementi in merito alla decisione dei giudici palermitani sulla deposizione del Presidente Giorgio Napolitano al processo Stato-mafia. "Una deposizione che rappresenta pressoché un unicum nella storia italiana", sottolinea il giurista.
"Il pilastro su cui poggia la decisione della Corte - spiega Clementi - è l'art. 205 del codice di procedura penale che regola l'assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e dei grandi ufficiali dello Stato. Lo stesso Napolitano lo ha citato nella lettera inviata alla Corte il 31 ottobre 2013 in cui si rendeva disponibile a testimoniare, ma spiegava in modo assai argomentato di non avere conoscenze utili al processo, in particolare riguardo ai timori espressi dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio". Secondo Clementi è "corretto mettere in relazione quest'articolo con il 502 del codice di procedura penale sull'esame dei testimoni, testo che si utilizza per considerare e valutare i soggetti del processo e nel processo". Ma soprattutto, è "centrale tenere conto delle disposizioni sul giusto processo della Cedu, la Convenzione europea per i diritti dell'Uomo e credo che i giudici di Palermo, da quanto emerge a una prima lettura dei resoconti, lo abbiano fatto: l'art. 6 della Convenzione, al comma 1, prevede infatti restrizioni agli accessi della sala d'udienza quando vi siano ragioni nell'interesse dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale. Valutazione in questo caso connessa anche con le prerogative del Capo dello Stato".
Accanto alle tutele per il Presidente, vi è anche il diritto di difesa. La Corte d'Assise, nel respingere le richieste degli imputati di assistere alla deposizione di Napolitano, ha valutato che non vi sia una lesione sotto questo profilo. Una decisione che il legale di Riina intende impugnare e che lascia perplessi alcuni penalisti. "Le reazioni dei legali - osserva Clementi - mi sembrano eccessive, troppo di parte: da un lato, perché il diritto di difesa è garantito dalla presenza al Quirinale dei legali degli imputati, che sono i primi difensori degli imputati. E poi perché non tengono conto del testo della Cedu e della sua giurisprudenza: quella che si celebrerà al Quirinale infatti non è una normale udienza in una sala di tribunale e quello che si è reso disponibile a testimoniare non è un normale cittadino, ma il Capo dello Stato, che in quanto tale è sottoposto alle garanzie e alle tutele costituzionali che l'istituzione Presidenza della Repubblica incarna. Quanto alle posizioni di alcuni precessualpenalisti, capisco che si possano avere valutazioni difformi: tuttavia, a me pare la loro una lettura che, per quanto dettagliata, rimane comunque parziale.
Perché i principi del giusto processo devono essere inseriti dentro il testo e la logica della Costituzione; questa è il primo faro interpretativo alla cui luce bisogna interpretare il codice e non viceversa. Il codice è una legge e in quanto tale è sottoposto alla Costituzione nel sistema delle fonti. Inoltre, in questa specifica vicenda, non è in gioco solo la meccanica processuale, è coinvolto un soggetto costituzionalmente rilevante al quale la Costituzione correttamente attribuisce specifiche garanzie e tutele. Non vedere tutto ciò rischia di violare non soltanto la Costituzione ma anche quell'equilibrio e quella separazione dei poteri che rende tutti noi, appunto, 'uguali di fronte alla legge'". (ANSA).