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27/09/2014 22:45:00

Il "Protocollo Fantasma", le accuse a Mori: favori ai boss in cambio di notizie

 Informazioni dai detenuti al 41 bis, in rapporto di"esclusività e riservatezza" e"a fronte di idoneo pagamento da definire": è il protocollo Farfalla,che per il Pg del processo d'Appello al generale Mori,assolto in I grado,ne proverebbe l'attività "opaca e occulta" quando era capo del Sisde. Lo dice il Corsera. Mori è accusato di slealtà verso lo Stato. Il Pg gli contesta di aver agito in modo "autonomo e segreto" tagliando fuori la magistratura, "unico organismo preposto alla gestione dei collaboratori di giustizia". 

Passato dal servizio segreto militare tra il 1972 e il 1975, quando i vertici del Sid furono coinvolti in trame golpiste e despistaggi, nel 2001 Mario Mori assunse la direzione del Sisde, il servizio segreto civile. E in questa veste attivò il Protocollo Farfalla, operazione «per la gestione di soggetti di interesse investigativo» che secondo il pg Scarpinato aveva un «punto critico»: «La mancanza di un controllo di legalità da parte della magistratura, unico organismo preposto alla gestione dei collaboratori di giustizia secondo severe e garantiste disposizioni di legge».


''INGAGGIATI'' DIVERSI DETENUTI. Alla fine di luglio il governo ha annunciato di aver tolto il segreto di Stato dal protocollo. Ai magistrati di Palermo è giunto dalla procura di Roma, alla quale l'aveva consegnato il successore di Mori al Sisde, Franco Gabrielli. Un appunto del Servizio datato luglio 2004 dà conto di una «avviata attività di intelligence convenzionalmente denominata Farfalla, attraverso l'ingaggio di preindividualizzati detenuti». Da mesi gli agenti segreti avevano verificato una «disponibilità di massima» a fornire informazioni da un gruppo di reclusi al «41 bis», il regime di carcere duro, «a fronte di idoneo compenso da definire».
L'elenco comprende una decina di nomi tra appartenenti alla mafia, alla 'ndrangheta e alla camorra da cui attingere notizie.
Tra i detenuti contattati ci sono quattro appartenenti a Cosa nostra. Tre dell'area palermitana: Cristoforo «Fifetto» Cannella, condannato all'ergastolo per la strage di via D'Amelio; Salvatore Rinella, della mafia di Caccamo, considerato vicino al boss Nino Giuffrè, braccio destro di Provenzano che in quel periodo stava collaborando con la magistratura; Vincenzo Buccafusca. E poi il catanese Giuseppe Di Giacomo, del clan Laudani.Tra i calabresi viene indicato Angelo Antonio Pelle, mentre per i campani ci sono Antonio Angelino e Massimo Clemente, più qualche altro. I risultati dei contatti non si conoscono, né quanto siano costati.


L'OMBRA DELLA P2. Per gli uomini dei Servizi è tutto legittimo, mentre per i pm palermitani è un'ulteriore prova dell'attività «opaca e occulta» di Mori. Il quale, secondo il testimone Angelo Venturi (ex uomo del Sid oggi 84enne, coinvolto e prosciolto nell'indagine sul golpe Borghese), «gli propose di aderire alla loggia P2 di Licio Gelli e fu allontanato dai Servizi perché intercettava abusivamente il telefono d’ufficio del suo superiore Maletti (iscritto alla P2, ndr)».