di Leonardo Agate - E siamo di nuovo arrivati, dopo gran parlare, alla nuova modifica dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Un primo ritocco, leggero, é avvenuto con il governo Monti, ministra artefice Fornero - quella delle lacrime televisive sulla sua riforma pensionistica - . Ma fu un ritocco omeopatico. Il licenziamento del lavoratore può avvenire solo come extrema ratio, mentre prima era ancora più difficile, quasi impossibile. I "fancazzisti", che vuol dire lavoratori che non fanno un cazzo, si sono preoccupati, ma la magistratura del lavoro, branca specialistica della magistratura, ha continuato ad applicare la nuova norma sulla falsariga della tradizionale interpretazione rossa. Non per nulla il processo é chiamato "del lavoro", quasi a voler indicare che tra l'impresa e il lavoro bisogna privilegiare il primo.
L'errore di dare più peso alle esigenze del lavoratore, rispetto a quelle dell'impresa, ha le sue conseguenze. Se l'imprenditore non si sente tutelato nella suo rapporto con il dipendente evita di assumerne di nuovi, o non può assumerne di nuovi dato che non può disfarsi dei vecchi e peggiori. Nel mondo economico globalizzato, le imprese straniere non portano i loro capitali nel nostro paese, per acquistare aziende o per fondarne di nuove, perché temono che la rigidità delle norme, che tutelano più il lavoratore che chi gli dà il lavoro, renda difficoltoso dirigere l'organizzazione aziendale. A lungo andare la strenua difesa del lavoratore assottiglia i posti di lavoro, lasciando al loro posto fino alla pensione i "fancazzisti" senza offrire nuovi posti ai disoccupati, che possono essere gran lavoratori. Questo discorso sta alla base delle esortazioni che di trimestre in trimestre vengono indirizzate ai governi italiani dalla Commissione europea, dal Fondo monetario internazionale, dal governatore del Banca centrale europea.
Renzi tenta di approvare, con la parlamentare approvazione della legge delega, già approvata in Commissione in Senato, una riforma più radicale del mercato del lavoro. La sua legge sul lavoro viene chiamata, da tutte le parti, Jobs Act, per farci capire meno, sia per il vezzo di sembrare internazionali, e siamo i più provinciali d'Europa, sia per confondere le idee in una materia in cui i sindacati criticano ma non presentano proposte alternative, e i governativi temono di allarmare i lavoratori con le parole italiane.
La legge delega sul lavoro, proposta da Renzi, diminuisce la tutela ferrea dei lavoratori che nessun imprenditore vorrebbe nella sua azienda, quelli che vogliono lo stipendio senza lavorare o creando più difficoltà nella catena del lavoro più di quanto l'azienda non avrebbe se non ci fossero.
La nuova legge delega, se verrà approvata nelle prossime settimane - si dice prima dell'8 ottobre, data del summit sulla disoccupazione dell'Unione Europea convocato a Milano - sarebbe un consistente frutto reale del governo Renzi , e non sarebbe poca cosa, visto che incentiverebbe le imprese italiane ad assumere, pure licenziando chi non vuole o non sa lavorare, ed attrarrebbe in Italia i capitali stranieri, che finora vanno altrove.
Che la Camusso, segretario generale della Cgil, abbia dichiarato che Renzi sembra essere la copia della Thatcher non é una critica, come pensa la signora, ma una sopravvalutazione dell'avversario. Magari Renzi fosse forte e duro come quel premier britannico che per undici anni governò il più democratico paese del mondo, avendo con i sindacati un scontro lungo e violento, nel quale nulla concesse, nemmeno le manifestazioni di piazza, consentendo alle imprese in difficoltà di licenziare e sopravvivere, invece di farle chiudere con maggior danno generale.