Nelle scorse settimane sono state diffuse alcune dichiarazioni del governatore della BCE Mario Draghi che lasciano perplessi per il loro tenore e la loro portata.
Egli è intervenuto sul ruolo delle future politiche dell’Unione Europea, affermando che sono ormai maturi i tempi perché gli Stati membri cedano parte della loro “sovranità” nazionale all’Europa, soprattutto sul tema delle riforme.
Le parole di Draghi sono sembrate una strigliata nei confronti del nostro Governo ed in genere dell’intera classe politica italiana, incapace da tempo di mettere mano alle riforme strutturali del Paese divenute ormai improcrastinabili.
Al riguardo va detto che non è la prima volta che la BCE interviene direttamente nelle vicende di casa nostra.
Lo ha già fatto in un’altra occasione, ovvero quando a Roma, nel bel mezzo della tempesta finanziaria agitata a colpi di spread, venne recapitata la famosa lettera con indicati i “compiti” da svolgere per avviare il risanamento dei conti pubblici.
Questa volta però le affermazioni di Draghi e, dunque, dell’istituzione europea che egli rappresenta, si sono spinte pericolosamente in avanti, configurando uno scenario (o forse anche un obiettivo) su cui è d’obbligo interrogarci, se non altro per le conseguenze che una “cessione di sovranità” comporterebbe per la vita di ognuno di noi.
Non si tratta di essere antieuropeisti, ma euroscettici sì.
Se si rileggono le parole pronunciate da Alcide De Gasperi nel discorso “La nostra patria Europa” in occasione della Conferenza Parlamentare Europea dell’aprile 1954, si comprende come l’Europa di oggi sia ben altra cosa rispetto a quella prefigurata dai suoi padri fondatori.
Una prima riflessione, se si vuole banale, attiene proprio alla dilatazione delle funzioni della BCE.
Il Trattato sull’Unione assegna alla BCE compiti attinenti alla politica monetaria dell’area euro non già prerogative di “interferenza” nelle scelte dei vari Paesi membri, né tanto meno sul delicato tema delle riforme istituzionali che l’Italia ha il diritto di attuare da sé, almeno fin quando sarà retta da un Parlamento sovrano e democraticamente eletto.
Non si comprende allora a che titolo il Governatore della BCE sia intervenuto in una materia – quella della “cessione di sovranità” – che certamente non rientra tra i suoi compiti.
Andrebbe ricordato che prima ancora di chiedere ai vari Stati la cessione delle loro sovranità nazionali occorrerebbe attuare in concreto l’unità politica dell’Europa.
Al nostro Paese, anche in virtù delle scelte di chi ebbe ad accettare l’adesione all’euro in modo pressoché supino, sono stati chiesti in questi anni sacrifici e tagli con la giustificazione delle politiche del rigore tanto care ai paesi del Nord-Europa.
Viceversa nessun senso di appartenenza all’UE ha potuto sperimentare l’Italia quando si è trattato di fronteggiare il tema dei migranti, che ogni giorno vede riversarsi sulle nostre coste centinaia di clandestini e di poveri disperati provenienti dal continente africano.
Lampedusa è stata lasciata sola. L’Italia è stata abbandonata al suo destino, quasi che i valori condivisi della solidarietà e dell’accoglienza non fossero stati mai scritti nei trattati europei!
Che senso ha allora far parte di una “Unione” se tale condizione viene sperimentata solo in una direzione, ovvero quando si tratta di imporre scelte lacrime e sangue sui temi economici, facendo finta di ignorare viceversa l’esistenza di un’emergenza umanitaria (ed oggi anche sanitaria) di proporzioni gigantesche che coinvolge un Paese membro?
Come può chiamarsi “Unione” quella dove un altro Stato membro (Malta), nonostante le opposte richieste di Bruxelles, non lascia nemmeno sbarcare sul proprio territorio i migranti, attuando una politica di respingimenti senza se e senza ma e negando qualunque forma di accoglienza?
E’ doveroso perciò che anche gli altri Paesi dell’Unione, in ossequio agli obblighi discendenti dai trattati europei, si facciano carico di questo problema mettendo a disposizione risorse e disponibilità umanitarie, così come è doveroso che su questo tema il nostro Governo pretenda dall’Europa quell’attenzione che finora è mancata.
Infine un’ultima notazione andrebbe sottoposta ai solerti controllori – d’ora innanzi forse anche legislatori - della BCE.
Prima di pretendere dai vari Paesi membri la cessione della loro “sovranità” nazionale andrebbe attuata una concreta democratizzazione della governance europea.
Il tema non è secondario: ancor oggi pochi sanno che al Parlamento Europeo, nell’inutile e dispendiosa doppia articolazione di Bruxelles e Strasburgo, sono demandati compiti legislativi di seconda istanza, mentre il fulcro del potere decisionale è tutto concentrato nelle mani del Consiglio dell’UE e in quelle della Commissione Europea, i cui membri non sono democraticamente eletti ma vengono designati dagli Stati membri e le cui sedute si svolgono ancora oggi (sembra incredibile, ma è così) a porte chiuse.
L’Italia dunque per il governatore della BCE dovrebbe cedere la propria sovranità nazionale – ovvero il potere di far decidere le riforme al proprio Parlamento democraticamente eletto – in favore dei suddetti organismi composti da soli nominati.
In tal modo alla già flebile voce dei cittadini andrebbe a sostituirsi in toto quella dei tecnocrati e delle lobbies.
Di fronte a ciò viene da chiedersi se era questo il sogno di De Gasperi e dei padri fondatori dell’Europa ovvero se tutti noi nei prossimi anni siamo destinati ad entrare, più o meno consapevolmente, in un grosso incubo.