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03/09/2014 06:54:00

Trapani, chiudono il centro di Salinagrande e il Serraino Vulpitta. Fine di un'era?

 Venerdì a Trapani si è chiusa una stagione. Sono stati dei timbri e qualche firma a mandare in archivio un periodo storico fatto di restrizioni umane, sofferenza gratuita e business sconsiderato. Una di quelle parentesi di cui ci si dovrebbe vergognare senza riserve. Infatti, la chiusura del Cara di Salinagrande e la definitiva ratifica sul Cie del Serraino Vulpitta mandano in soffitta fiumi di lacrime e di inchiostro che ne hanno caratterizzato il loro declino. Due centri diversi tra loro, sorti in epoche differenti e smantellati a velocità discontinue.

Il Cara di Salinagrande è stato aperto ufficialmente nel 2005. Inizialmente la struttura rientrava in un piano d'accoglienza riservato unicamente alle donne e soltanto poco prima dell'apertura ufficiale era stato delineato come Centro di accoglienza per richiedenti asilo disponibile per 260 persone. Una capienza totalmente fittizia se si considera che in alcuni periodi i gestori responsabili sono riusciti ad ammassare fino a 450 persone, schiaffate su un tappeto di materassi che andava ben oltre i limiti di sopportazione umana. Altro che normativa sanitaria. Poi c'è la questione integrazione con il territorio. Il centro non è mai entrato nelle grazie degli abitanti di Salinagrande e le istituzioni, che lo scorso inverno hanno partecipato per la prima volta ad un incontro pubblico, hanno fatto ben poco per agevolarne l'impatto. La gestione iniziale era stata affidata al gruppo Insieme (leggi Giuseppe Scozzari) mentre dal 2012 è subentata Badiagrande, la cooperativa diocesana gestita in prima persona da Don Sergio Librizzi, il prete arrestato per violenze sessuali lo scorso giugno. E proprio in seguito all'intervento della magistratura è stato possibile capire perchè durante le visite ispettive non emergessero le diverse lacune presenti. Dai carteggi giudiziari, infatti, emerge chiaramente come Librizzi sapesse in anticipo delle “ispezioni ministeriali” e “tutto veniva messo a posto per bene”. Il timbro finale sulla definitiva chiusura tuttavia giunge dopo un lungo declino dei Cara nella geopolitica dell'accoglienza ai migranti. Infatti nei piani del Ministero dell'Interno questa tipologia di centri dovrebbero essere riconvertiti in Hub in grado di accogliere per 15/20 giorni i migranti in attesa di sistemazione definitiva negli attuali Cas (Centri di accoglienza straordinaria).

La definitiva chiusura del Cie del Serrino Vulpitta invece ha tutto un altro significato. In città, leggendo la notizia sui giornali, molti hanno pensato distrattamente al Cie di Milo, quello dalle grate gialle che invece rimarrà aperto. Dal luglio 2012 il Cie del Serraino Vulpitta galleggiava in uno stato di ristrutturazione prolungata e durante un incontro pubblico avvenuto nel dicembre scorso il prefetto Leopoldo Falco ne aveva anticipato la definitiva chiusura. Il Cie ricavato all'interno del Serraino Vulpitta è stato il primo centro finalizzato all'espulsione attivato sul territorio nazionale e fu aperto nel luglio 1998. La prima gestione era stata affidata senza gara d'appalto alla Croce Rossa. Poi fu affidato al gruppo Insieme (leggi Giuseppe Scozzari). Ancora è facile reperire su youtube o nelle memorie dei cellulari più vintage le scene dei migranti che fuggivano dalla struttura grazie ai lenzuoli, sotto lo sguardo sconvolto degli anziani accolti in un altro padiglione del Vulpitta. All'epoca si chiamavano Cpt (Centri di permanenza temporanea) e furono introdotti dalla Turco-Napolitano. Quello del Vulpitta, nell'immaginario collettivo, è il Cie del rogo. Il Cie della notte fra il 28 e il 29 dicembre 1999. Il Cie di Jamal, Lofti, Nashreddine, Nasim, Rabah, Ramsi e i loro corpi arsi vivi. Il Vulpitta è stato il primo centro a spingere una persona a cucirsi la propria bocca. Il Cie della vergogna. Il Cie dal quale non si torna indietro. Il Cie che adesso non c'è più.

Marco Bova



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