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26/07/2014 07:00:00

Diario da Israele/5. Dove finiscono i contributi dell'Ue per i palestinesi

Che colpe ha Israele verso i palestinesi? Chi non vuole che la pace sia sancita definitivamente? E perché si nega ad Israele il diritto di difendersi? Cosa è la questione palestinese? Perché non si riesce a trovare una soluzione condivisa per entrambi gli Stati? E perché questo livore, che spesso diventa odio, non solo da parte araba, ma anche da parte di media e intellettuali progressisti, verso Israele, l’unica democrazia avanzata di quella regione? Continua il percorso di Patrizia Bilardello lungo la storia del conflitto Arabo-Israeliano.

Nel dicembre 2013 la Corte dei Conti della UE ha avanzato la proposta di bloccare i finanziamenti destinati alle varie autorità palestinesi, in quanto non vi è sufficiente trasparenza nella gestione da parte di Hamas e ANP, ma soprattutto, c’è un abisso fra il denaro inviato dal 2008 ad oggi (quasi 2 MILIARDI di dollari) ed il miglioramento della condizione della popolazione palestinese, che sembra addirittura essere peggiorata.
Oltre ai finanziamenti erogati tramite il programma Sdf Pegase, l’UE ha fornito assistenza ai palestinesi attraverso l’UNRWA e con una vasta gamma di progetti di cooperazione.
Mentre il popolo palestinese viveva e vive tutt’ora in questa situazione di povertà, le autorità palestinesi che si sono susseguite (da Arafat ad Abu Mazen, fino ai terroristi di Hamas) hanno acquisito tutti i sussidi dei cittadini.
Dal 2004 soltanto l’Unione Europea ha destinato almeno 5 miliardi di dollari al sostegno dell’autorità nazionale palestinese (ANP).
Cosa fa Ramallah di questo fiume di denaro che sopraggiunge da tutto il mondo?
Ogni mese l’Unione Europea destina diversi milioni di euro al rimpolpamento del bilancio di Ramallah. Anche quest’anno luce verde dell’Unione europea ad un nuovo pacchetto da 200 milioni di euro a sostegno dei palestinesi. L’obiettivo è quello di garantire servizi di base alla popolazione, come istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali (sperando che almeno questa volta siano utilizzati per questi fini e non per l’arricchimento personale di qualche esponente politico o per il finanziamento al terrorismo palestinese anti israeliano).
Per l’Ue questa è solo la prima tranche di aiuti per i palestinesi nel 2014 e prevede un contributo di 130 milioni di euro per l’Autorità Nazionale Palestinese e un’iniezione di 70 milioni di euro al fondo generale dell’UNRWA, tramite cui gli aiuti arrivano ai rifugiati in Cisgiordania (Giudea e Samaria), Gaza, Giordania, Siria e Libano.
“Tramite queste contributi l’Ue intende sostenere le istituzioni chiave palestinesi e fornire una rete sociale di sicurezza per i profughi” ha spiegato il commissario europeo alla Politica di vicinato, Stefan Fule. Che cosa è l’UNRWA (United Nations Relief Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)? Fu creata sotto la giurisdizione dell’Alto Commissario ONU per i profughi (UNHCR), con l’unica responsabilità di aiutare esclusivamente i palestinesi. Diversamente da ogni altro ente dell’ONU, la definizione dell’UNRWA di“profugo” comprende non solo i profughi stessi, ma anche i loro discendenti. I profughi mantengono il loro status anche se hanno ottenuto una nuova cittadinanza e l’UNRWA conta come profughi anche tutti i discendenti dei profughi originari: un sistema che dal 1948 in poi ha generato – caso unico al mondo – un incremento del 400% nel numero di profughi sotto la sua giurisdizione.
Si trattava di una definizione di “profugo palestinese” politicamente motivata, con il sottinteso che i palestinesi sarebbero rimasti profughi per sempre o fino al giorno in cui si fossero trionfalmente stabiliti in uno stato arabo palestinese che comprendesse tutto il territorio su cui sorge Israele. Se si ricostruivano una vita altrove, anche dopo molte generazioni – dopo decenni o, in teoria, dopo secoli – rimanevano comunque ufficialmente profughi. Pensate se la stessa pretesa fosse avanzata per tutti gli italiani che sono emigrati in America nel secolo scorso e che con i loro discendenti volessero ritornare in massa in Italia. Cosa molto diversa dalle altre situazioni nel mondo, dove gli altri profughi mantengono lo status di “profugo” solo finché non trovavano una collocazione permanente altrove, presumibilmente come cittadini di altri paesi.
Il bilancio dell’UNRWA è sostenuto da molti paesi, tra i quali gli Stati Uniti e i paesi occidentali figurano come i maggiori contribuenti. Nel 1990 il bilancio annuale dell’UNRWA era di oltre 292 milioni di dollari; nel 2000 era aumentato a 365 milioni. Tuttavia, nonostante questo aumento in apparenza significativo, le assegnazioni di fondi tra i vari campi profughi sono diminuite – complice il tasso di nascite molto elevato e l’aumento della popolazione dei campi. I profughi vengono scoraggiati dall’uscirne e sono incentivati a rimanere per ricevere l’assistenza. La spesa pro capite per i profughi dei campi è scesa quindi da 200 dollari in servizi all’anno negli anni ‘70 ai circa 70 attuali. Questa situazione risulta particolarmente evidente in Libano, dove il governo fornisce poca o nessuna assistenza ai palestinesi.
L’UNRWA quindi mantiene una grossa popolazione di profughi e loro discendenti in uno stato di dipendenza assistenziale permanente, finanziato dai contribuenti occidentali. Così facendo, funziona come una diga contro i tentativi di trasformare i profughi in cittadini produttivi. Tutte le burocrazie hanno la tendenza ad auto-perpetuarsi. Nel caso dell’UNRWA, questa tendenza è esacerbata dal fatto che la ragion d’essere dell’organizzazione è la conservazione del problema dei profughi, piuttosto che lo sforzo di dargli soluzione.

 

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Patrizia Bilardello