di Leonardo Agate - Incredibili italiani! O, per meglio dire, quella larga fascia di italiani che sanno trasformare la tragedia in farsa e la morte in motivo di entusiasmo.
Da un paio di anni non facciamo altro che vedere ogni giorno le immagini della Concordia arenata e semisommersa lungo la costa dell'Isola del Giglio. Le prime immagini, quelle della tragedia in diretta, commentate con la dovuta mestizia e rabbia per quello che avveniva. Un "inchino" della nave all'isola che si trasforma in dramma collettivo, con il risultato di oltre trenta morti annegati. Mentre il comandante, Francesco Schettino, saltava su uno sperone di terraferma lasciando il suo posto di comando, contro la regola fondamentale che il comandante é l'ultimo ad abbandonare la nave. Veramente lui ha dichiarato che é stato catapultato contro la sua volontà sulla terraferma, per un improvviso movimento del mezzo su cui si trovava. Ma ci crede solo lui, se ci crede, a questa boutade, né ha tentato di ritornare al suo posto tra i passeggeri e gli uomini del'equipaggio disperati, nemmeno dopo essere stato esortato dal comandante la Capitaneria di porto.
Mano a mano che ci si allontanava dalla data della tragedia, le immagini della nave arenata ed i servizi sulla ricerca dei dispersi venivano accompagnati dalla mesta litania di quello che le autorità portuali e giudiziarie stavano facendo per chiarire i termini del disastro, ed attribuire le responsabilità. Con il passare dei mesi il racconto del mass media ha preso la via delle aule giudiziarie, dove i periti di parte e del tribunale presentavano centinaia di pagine, che piuttosto che chiare la dinamica dell'incidente, ingarbugliavano la ricerca delle cause. A parte l'evoluzione tecnica dell'avvenimento, restava però, nell'opinione pubblica, la semplice domanda, tuttora inevasa: perché fare quel rischioso "inchino"? E'stata solo una decisione peregrina del comandante o la Società armatrice sotto sotto l'aveva autorizzato per rendere più entusiasmante la traversata?
Non rispondendo a queste domande, diventa più difficile l'ottenimento del risarcimento da parte delle famiglie private di un congiunto. Ma, si sa, la giustizia italiana é lenta e chissà quando e se mai si arriverà al nocciolo dell'individuazione delle responsabilità.
Si potrebbe pensare che l'interesse per la sorte della Concordia, che in primo tempo oscillava tra la demolizione e la riattivazione, si sarebbe affievolito con il passare dei mesi, in attesa di una sentenza definitiva di là da venire. E, invece, gli italiani che da ogni tragedia sembrano ricevere nuove energie, hanno continuato a interessarsi alle attività dirette alla riparazione della Concordia, con la sua entità enorme di denaro che andrà alle squadre di tecnici e al cantiere navale che dovrebbe rimetterla a posto. Tra Palermo e Genova, che in primo tempo di contendevano le spoglie del relitto, l'ha spuntata Genova, e la Concordia ieri é finalmente partita per lo scalo genovese. Le immagini dello scafo che lentamente riemerge dalle acque e quelle della presa del largo, al traino di due potenti rimorchiatori, sono state accompagnate da un indicibile entusiasmo da parte dei commentatori e dei conduttori televisivi. La tragedia ormai dimenticata é stata sostituita dall'entusiasmo per i tecnici che hanno avviato la nave alla casa di cura. I morti dimenticati, messe in sordina le traversie delle famiglie che litigano per il giusto risarcimento, l'argomento del giorno diventa la capacità italiana di rimettere a nuovo un ammasso di ferraglia, e ridargli vita. "Come siamo bravi" sembra essere il senso di tutti i commentatori.
Ma quella fascia di italiani, che sono iscritti al club di chi non la beve, pensano: " Ma quanto siamo stati stronzi a far impattare quel mastodonte contro gli scogli per una galanteria da salotto". E ritengo che nella memoria collettiva di questi avvenimenti avrà più evidenza la stronzaggine del mostruoso impatto rispetto all'attività di rimessa in navigazione dello scafo.