«Mi si può dare atto che nessuna interferenza ci fu da parte mia nelle indagini sulla trattativa». Lo ha detto, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il presidente del Senato, Piero Grasso, che ha parlato delle lamentele dell’ex ministro Nicola Mancino sulla diversa piega presa dalle inchieste delle tre procure - Firenze, Palermo e Caltanissetta - sul cosiddetto patto tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra.
Il 16 aprile del 2012 Grasso, all’epoca capo della Dna, venne convocato telefonicamente dal procuratore generale della Cassazione Ciani per una riunione, che si svolse poi il 19 aprile, in cui si doveva parlare genericamente di coordinamento investigativo.
«Nel corso dell’incontro - ha raccontato Grasso - in realtà la discussione fu più specifica e parlammo non in generale, ma delle indagini sulla trattativa e dei problemi derivati dalla necessità di un’unità di indirizzo da parte delle procure che stavano conducendo inchieste che avevano punti in comune, stavano sentendo persone e valutando fatti e che potevano avere anche impostazioni diverse».
«Sul tavolo della riunione - ha spiegato Grasso - c’era anche una lettera del segretario generale del Quirinale Donato Marra al procuratore generale a cui era stata allegata una missiva del senatore Mancino alla presidenza della Repubblica». La lettera di Mancino non venne letta nel corso dell’incontro, ma si accennò al fatto che conteneva le «lamentele» dell’ex senatore sul coordinamento delle indagini sulla trattativa.
Grasso ha sottolineato più volte che nessuno gli sollecitò il provvedimento estremo dell’avocazione delle indagini condotte dalle tre Procure ma che la legge di fatto stabilisce che in assenza di coordinamento investigativo, per inerzia e reiterata violazione dei doveri, il capo della dna può avocare le inchieste e diventarne titolare. Di fatto, dunque, l’avocazione è l’unico rimedio all’assenza di coordinamento.
«Spiegai al pg della Cassazione - ha detto Grasso - che a quel momento non mi risultavano violazioni delle direttive che avevo dato nel 2011, (in occasione di contrasti sorti tra i pm di Palermo e quelli di Caltanissetta ndr) da parte delle tre procure e che non c’erano dunque gli estremi per una avocazione». Nessuno formalmente però sollecitò l’allora procuratore nazionale a togliere le indagini ai pm. «Si era lamentata - ha spiegato il teste - una diversità di indirizzo in quanto la Procura di Caltanissetta diceva che i politici non avevano colpe, mentre altre procure stavano valutando se ci fossero gli estremi per valutare eventuali responsabilità penali». Dopo la riunione Grasso fece una relazione sulla vicenda che inviò al pg Ciani. La relazione gli fu sollecita dal pg che doveva rispondere alla lettera inviata dalla segreteria generale del Quirinale.