di Leonardo Agate - L’ipocrisia ha invaso anche i campi di calcio. O che io ne sia immune, oppure non ragiono bene. M’é sorto il dubbio dopo la partita di calcio Gemania - Brasile, finita con una catastrofe per i brasiliani. Non é che hanno giocato malissimo. E’ che i tedeschi si sono dimostrati molto più forti, e hanno mandato in rete tutti i palloni che hanno potuto. L’indomani si sono visti sulla stampa commenti negativi sul comportamento della squadra vittoriosa che, secondo molti, si sarebbe dovuta astenere dal perseverare nell’umiliazione dell’avversario quando già aveva all’attivo quattro gol.
Non capisco come si possa applicare il criterio dell’umiliazione a proposito di una sfida calcistica. Lo sport é agonismo puro, senza limitazioni e artificiosità. Almeno questo dovrebbe essere, anche se talvolta inchieste su droghe e trucchi lo hanno fatto scendere di molti gradini sulla scalinata del tempio di Olimpia. Ma ammesso che come regola lo sport é puro agonismo, non si vede perché la Germania avrebbe dovuto astenersi dal continuare a segnare, dopo aver messo in saccoccia la vittoria. Sarebbe come dire, se questo fosse avvenuto,che alla fine del primo tempo, largamente in vantaggio sull’avversario, non avrebbe più dovuto giocare, o avrebbe dovuto fare melina per non affondare ancora di più - come invece ha fatto - il coltello nella ferita del vecchio leone brasiliano. Se la Germania avesse smesso di giocare e di segnare, sarebbe stata la sconfitta dello sport, come se fosse stato asservito ad interessi di ditta, di bottega o di nazione. Sul campo di calcio non si deve giocare per determinare artatamente o diplomaticamente il risultato, ma per vincere o perdere mettendocela tutta. Ci resta questo rettangolo di area verde a salvaguardia della la naturalezza dei comportamenti, e c’é mezzo mondo che grida allo scandalo della Germania pigliatutto. In tempi di scoloramento di ogni virtù ci tocca di sentire che mezzo mondo, piuttosto che plaudire alla magnifica rappresentazione tedesca, la condanni per l’assoluto zelo che ci ha messo per eseguirla. Roba da matti, ma ormai bisogna prendere atto che la mattia s’é radicata in mezzo mondo.
Onore e gloria, quindi, alla Germania che ha stravinto. Ma nessuna pietà e commiserazione pelosa per il Brasile che ha perso. Chi perde in una competizione sportiva non perde mai la sua dignità se non é riuscito a superare l’avversario o se - come nel nostro caso - ne ha subito l’estrema superiorità. Il Brasile ha giocato le sue carte, ma gli assi erano tutti in mano all’avversario. Il Brasile non é più quella squadra mitica di altri tempi. E’ una modesta compagine che forse fra qualche anno, con nuovi inserimenti e nuova direzione, potrà di nuovo competere con squadre come la Germania di oggi.
Perché versare lacrime sul brasile sconfitto, come se lo fosse stato ingiustamente? Meglio cantare una peana per la Germania. Che ci ha fatto vedere il più bel calcio del mondo. La preparazione atletica, la determinazione e la capacità di aprirsi i varchi verso la porta avversaria, ah se l’avessimo avute noi italiani. Invece, abbiamo rimediato la sorte che ci hanno imposto la mancanza di fiato, l’inconsistenza delle gambe e la misconoscenza di una tattica operativa. Quello che abbiamo mostrato nelle partite del mondiale, é stato un livello di gioco buono per allenamenti con la squadra parrocchiale. Eh sì, possiamo aver rabbia che il profluvio dei milioni buttati nella rete del calcio mercato, compreso quello degli allenatori, sia esagerato rispetto al valore dei giocatori stessi e degli stessi allenatori.