Ho lasciato Trapani da non più di sei mesi, a poca distanza dallo scandalo finanziario che aveva coinvolto la curia della città e che si era concluso con l’allontanamento dell’allora vescovo Francesco Micciché: il provvedimento fu preso dal pontefice Joseph Ratzinger a seguito di un’accurata indagine intra moenia condotta, in qualità di visitatore apostolico, da monsignor Domenico Mogavero. Mi duole dover constatare che in questo 2014 le notizie che mi giungono dal far west del cattolicesimo siciliano continuano ad essere sconcertanti e avvilenti.
Le accuse, gravissime, coinvolgono un altro personaggio eccellente della chiesa trapanese, il sacerdote Sergio Librizzi: non si tratta affatto di un Carneade, bensì del direttore della Caritas locale, il quale è attualmente indagato per concussione e violenza sessuale pluriaggravata. Naturalmente, la giustizia farà il proprio corso e stabilirà l’eventuale attendibilità delle accuse.
A prescindere dall’esito delle indagini, quel che è grave è che una questione delicata come quella dell’accoglienza dei migranti, peraltro in una zona nevralgica come il trapanese (dove sono dislocati due grandi centri di identificazione ed espulsione/CIE ed il centro d’accoglienza per richiedenti asilo/CARA di Salina Grande), possa essere sostanzialmente soggetta al monopolio e all’arbitrio di un ente ecclesiastico e del suo direttore.
Secondo l’accusa, don Sergio Librizzi barattava permessi di soggiorno con favori sessuali. Come era possibile? Semplice: il sacerdote era membro della commissione territoriale incaricata di riconoscere ai migranti lo status di rifugiato politico. Specie nel caso in cui le accuse dovessero essere confermate, viene da chiedersi in virtù di quale competenza egli rivestisse tale ruolo: e a rispondere a questo interrogativo dovrà essere, prima ancora che la Caritas, il Ministero dell’Interno, responsabile della verifica e della ratifica delle nomine di quanti concorrono a costituire le singole commissioni territoriali.[1]
Altre e ben più gravi responsabilità verrebbero altresì a ricadere sulle spalle dello Stato, poiché, secondo quanto dichiarato dal giudice per le indagini preliminari, Emanuele Cerosimo, «dalle indagini è emerso come fatto inconfutabile e notorio come il Librizzi sia detentore di una posizione di grande potere (…) nonché gestore di fatto dei centri di accoglienza e del sistema di cooperative connesso. Librizzi risulta essere unico ed incontrastato dominus di una complessa e articolata rete di cooperative (…) e società attraverso le quali gestisce in regime monopolistico non solo i centri di accoglienza per extracomunitari ma anche l'intero universo del lavoro ad esso collegato (…). Librizzi è al vertice di una ricca, fiorente e incontrastata holding finanziata con denaro pubblico che gestisce per intero il business dell’assistenza ai migranti».[2]
Risulta difficile credere che nessuno ne fosse a conoscenza; così come appare improbabile che don Sergio Librizzi, qualora abbia commesso gli illeciti di cui è accusato, abbia potuto agire indisturbato ed eludere così a lungo l’intervento del potere giudiziario senza essere debitamente protetto da alte cariche pubbliche.
Tutti aspetti da accertare in una vicenda incresciosa che, da quel che si può evincere, di caritas non possiede null’altro che l’intramontabile facciata propria del perbenismo benpensante di matrice cattolica.
Alessandro Esposito - pastore valdese in Argentina - 4 luglio 2014