C’è nel linguaggio profetico di Fulvio Di Piazza un appello ammaliante diretto alle coscienze degli osservatori, un invito alla responsabilità degli umani di presa in carico dell’intimo segreto del creato.
Di Piazza, siciliano di Siracusa, è presente con una mostra, “L’isola nera”, dai caratteri eroici, a tratti titanici, alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo, visitabile fino al 1 settembre. Compongono l’esposizione tele di grandi e piccole dimensioni, un'installazione site-specific e una scultura; alla sequenza è ulteriormente integrato “Cloud of whales”, colour video, realizzato da Alessandro Signorino che rielabora, attraverso un impiego visionario del fotogramma, il processo di creazione dell’artista durante il concepimento della sua opera maggiore, Isola nera, che dà il nome all’intero percorso.
L’esposizione continua l’iter esplorativo di ricerca della creatività contemporanea di talenti emergenti autoctoni, intrapreso con lucido nitore progettuale dall’Istituzione museale palermitana.
Il processo di creazione di Di Piazza rasenta la luce prometeica: accarezza il fuoco, sprigiona energia, libera Pandora.
Osservando le tele di Di Piazza, tutte realizzate fra il 2013 e il 2014, notiamo come l’artista scivoli, con pertinacia, fra le pieghe più insinuanti della pittura di Max Ernest, attingendo a piene mani dall’immaginario complesso della fantascienza. Edgar Allan Poe e Jules Verne sembrano lanciargli occhiate complici di anticipazione.
Un linguaggio insinuante e ciclopico quello di Di Piazza che ci pone davanti, senza compiacimento, al cospetto di una natura rivelatrice e violata, anti-idillica, imbarbarita dal fiato umano, non palese ma sotteso, priva volutamente di tradizionale lirismo.
Un’esaltazione fagocitante della materia, apparentemente inerte, come in “Fango”, che enfatizza il suo intimo vizio di nascita, il suo carattere tattile, la sua ponderazione silenziosa, invasiva, prosaica.
La melma possente che invade il supporto dell’opera affolla visivamente l’occhio dell’osservatore invitandolo a leggere oltre le faglie, i crinali e i crateri emergenti.
Ci troviamo di fronte ad nuovo bestiario, naturalistico contemporaneo che aggira Bosch e supera Arcimboldo per parlare di corruzione dell’animo e dello spirito.
L’animo di cui Di Piazza ci narra è fatto di foglie, lava, terra e fuoco; un magma purificante, rivelatore, allo stesso tempo illuminante: un monito severo all’agire umano, panico, corrosivo, specchio incisivo dell’distruzione antropologica dispotica verso la natura.
Chiude l’esposizione l’istallazione “Isola nera”, invito avvolgente e contraddittorio a leggere la terra madre, oscura, fumosa, corrotta da un lato; combusta, violata, inaridita e depredata dall’uomo dall’altra. Matrigna e madre.
Questa stessa isola nera non è però oggi integralmente privata del suo cuore: un cratere antico, insanguinato, ancora capace di sprigionare energia e fumi.
Su questa isola Di Piazza immagina una grande salvezza: un’onda anomala, rigenerante, sconvolgente, composta da un’infinità di balene, affollata come una scena corale di un film di Crialese, capace di azzerare e porre nuovo plancton alla spuma marina che un tempo diede vita a Venere.
Francesca Pellegrino