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11/06/2014 20:00:00

Berlinguer é morto da trent'anni e le commemorazioni vanno a mille

Nel trentesimo anniversario della sua morte, le commemorazioni non mancano. Quasi tutte sono elogiative, e ne esce fuori un personaggio che non é stato. Berlinguer, perché di lui parliamo, é stato il politico che ha portato il Pci al massimo consenso. I nostalgici vivono ancora, perché lui é morto prematuramente sul campo. Nel suo ultimo discorso a Padova, fu visto ad un tratto barcollare. Colpito da un ictus, morì quattro giorni dopo, l'11 giugno !984.
Rampollo dell'agiata borghesia sassarese, con infiltrazioni aristocratiche, entrò giovanissimo nel Pci nel 1944, e fece subito carriera nel partito. Con fine malizia, il suo compagno Giancarlo Pajetta affermava che si era iscritto presto alla direzione del partito, raccomandato da Palmiro Togliatti con un bigliettino di presentazione inviato alla segreteria di Torino. Berlinguer era il giovane che il Migliore sentiva affine a sé. Riservati e poco socievoli tutti e due, di vaste letture e profondi pensieri, limitati però alla tradizione della sinistra, e particolarmente al comunismo storico di Marx, Lenin e Stalin.
Aveva l'aspetto sofferente di un asceta, sobrio nel vestire, con la testa incassata sulle spalle e il collo nascosto dietro i baveri della giacca o del cappotto. Avrebbe potuto succedere a Togliatti, ma c'era a contendergli il posto l'altro idolo del passato resistenziale, Luigi Longo. Arrivò alla Segreteria dopo Longo, nel 1972. Della sua infatuazione verso Mosca, non ci sono dubbi, ed é persistita fino alla fine dei suoi giorni, anche se é sembrata diminuire negli ultimi anni sulla via italiana al socialismo. Una necessità, piuttosto che una scelta. Il fallimento del comunismo reale, nella patria del comunismo, era evidente a tutti gli osservatori. Se ne attendeva l'esplosione finale, ma i presupposti c'erano ormai tutti quando Berlinguer cominciò a distanziarsene.
La sua ammirazione per L'URSS superò ogni limite, e sorpassò anche quello del ridicolo. Tornando da uno dei suoi viaggi a Mosca, un compagno gli chiese com'erano le donne da quelle parti. Una domanda avventata, a lui così riservato e restio ad interessarsi di altro che non fosse il suo metodico lavoro. Rispose spiazzando l'interlocutore. La domanda, secondo lui, non aveva senso perché «Nel Paese del socialismo le donne non hanno bisogno di nessun orpello per attrarre gli uomini. In Urss non ci sono donne. Ci sono compagne sovietiche».
I successi cui portò il suo partito furono dovuti alla sua passione e continuità diuturna nel dirigerlo, ma anche al rinsecchirsi dell'ideologia dell'altro grande partito, la Dc, avviata verso l'inglorioso tramonto.
Berlinguer fu determinante nella vicenda del rapimento del presidente della Dc, Aldo Moro. Fu tra quelli, forse il più determinante, che ne segnarono la fine, con il rifiuto di ogni trattativa con i terroristi. Scelse bene? scelse male? Ancora i distinguo e le polemiche non si sono tramutati in storiografia obbiettiva. Certo, trattare con i terroristi per liberare Moro, morti i cinque uomini della scorta, poteva sembrare un'offesa ai caduti. Ma senza trattare si é stroncata un'altra vita, quella di un grande statista che seminava per il compromesso storico tra i due più grandi partiti. Con Moro sopravvissuto, la storia della Repubblica sarebbe stata diversa.
Le commemorazioni dei personaggi, di solito fatte da partigiani, non mettono in luce gli aspetti negativi dell'uomo, ma solo quelli positivi. Peccano di parzialità, e non aiutano a capire.

Leonardo Agate
 



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