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23/05/2014 14:20:00

"Giovanni Falcone, il nostro eroe". Di Giuseppe Giacalone

 Sono nato e cresciuto, nella stessa Terra in cui nacque Giovanni Falcone. E non è stato poi tanto difficile, quanto naturale, purtroppo, respirare la sua stessa aria. Spesso contaminata d’illegalità e d’incompiute, da sprechi e favoritismi. Di malapolitica, d’inefficienza, d’incapacità. Quel maestrale che troppe volte fa da “cappa”, e non lascia respirare un po’ di aria fresca. Che non fa respirare e vivere le bellezze eterne di una Terra bellissima, dove fin troppe volte, i servitori dello Stato, sono lasciati soli. Ero fin troppo piccolo, per ricordare. Ma riuscì a farmi spiegare e raccontare ben presto, cosa era successo quel giorno. Il 23 maggio, lì, su quell’autostrada, all’altezza dello svincolo di Capaci. Chi era Giovanni Falcone, cosa significavano quelle immagini brutte. Quelle Fiat Croma dilaniate, quelle macerie. Quando mi recavo a Palermo da piccolo, e fissavo ingenuo quella stele, quella scritta sulla casina bianca, “No Mafia”, sulla collina maledetta, che domina l'autostrada. Mi domandavo che cosa significava lo scorrere di quelle immagini che gridavano e ritraevano la triste condivisione di un giorno, di una fine, che addormenterà per sempre, insieme al giudice, l’amata moglie Francesca Morvillo e gli inseparabili compagni della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Capì dopo.
Sono passati ventidue anni in un soffio. Ventidue lunghi anni forse, o nemmeno troppo, tanto tempo. Anni scanditi da scandali e crisi. Di politicanti e politichese. D’immobilismo. Ma ci sono pagine della nostra storia, che il tempo non ha sbiadito, non ha ingiallito, non ha saputo, potuto farlo. Il 23 maggio 1992 è una di queste. Una delle più tristi e tragiche. Di quelle segnate, strappate, intrise di dolore e sgomento. Più dolorose e tremende. Immagini che, rimbalzano alla mente, che fanno a pugni con la rabbia. Immagini cruenti, di sangue, distruzione, guerra. Efferatezza inaudita, inumana. Quelle immagini di morte e devastazione, descritte e raccontate dalla voce scossa, concitata, dei primi inviati, su quel tratto di autostrada imbottito e dilaniato dal tritolo, rimangono vive, nella coscienza, nella mente, ritornano, restano, urlano ancora verità, ricordo, memoria. Urlano che Capaci, non è morte, non è solo morte, è vita. Un sacrificio non vano.
Non è ancora morto Giovanni Falcone, perché non è mai morta, la speranza di vedere una Sicilia che respira, che cammina da sola, che è Terra di legalità e giustizia. Di rinnovamento e coraggio. Terra che respira fresca aria di libertà, che combatte perché i suoi figli non partano disgustati, ma vi restino, affamati di cambiamento, coraggio e futuro. Una Terra libera dal male e dal parassitismo mafioso. Non muore mai, chi muore per ciò in cui crede. Non muore mai, in fondo, che dedica la sua vita al coraggio e al compimento fino al sacrificio, del proprio dovere. "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone le necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato, che lo Stato non è riuscito a proteggere. ” Ma il bagaglio di insegnamenti che tu ci hai lasciato, oggi, servirà a non lasciare solo più nessun uomo giusto. Nessun uomo e nessuna donna di buona volontà, giovane o meno giovane. E anche nel “buio” di questi anni, di alcune cose, rimango fermamente certo. Di tutto quello che non si è mai spento. Del fuoco della consapevolezza e della passione civile. Della forza e della voglia di portare le idee di Giovanni sulle nostre gambe. Le gambe, il cuore, la mente, le mani dei giovani siciliani che fanno memoria e tesoro degli esempi di tutti i valorosi servitori dello Stato, che hanno profuso tutto il loro impegno, a prezzo della loro stessa vita. Questo fuoco, tutti noi, dobbiamo avere il coraggio di alimentarlo, senza paura e con coraggio, ognuno con le proprie forze e possibilità. Ciascuno, faccia il proprio dovere, proprio come diceva Giovanni. In ciò, consiste la vera essenza umana.
Per questo lo faremo, per riprenderci ogni giorno, la nostra Sicilia e la Terra giusta, da chi, con la violenza, il ricatto e il sangue, se ne appropriò, in quel non tanto lontano Maggio 1992. Perché il 23 maggio non è solo memoria, ma è soprattutto ripartenza. Sfida. Coraggio. Scelta. Con il tuo sorriso, la tua forza, il tuo impegno. Vivi. Non avremo paura.
Ciao Giovanni.
Dedicato a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio, Rocco.


Giuseppe Giacalone Studente al 4°A.A. Facoltà di Giurisprudenza Università degli studi di Trapani



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