Questa settimana abbiamo ricevuto in redazione alcune lettere ed e-mail di ascoltatori che ci chiedevano come mai domenica scorsa non avessimo in alcun modo dato notizia delle santificazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. La risposta è semplice. Non ne abbiamo dato notizia perché le canonizzazioni, come evangelici, non ci appartengono. Non queste in particolare, naturalmente, ma tutte in generale. Come ha detto il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, interpellato sull’argomento, le santificazioni di domenica scorsa non erano un evento ecumenico.
Pieno rispetto per i credenti cattolici che vi hanno partecipato, ma come protestanti non ci riguardano. Il problema non è l’esemplarietà. Anche secondo noi esistono delle figure di credenti esemplari. Ne esistono nel cattolicesimo come ne esistono nel protestantesimo. Penso, per esempio, al teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, morto in un campo di prigionia nazista; o a Martin Luther King e al suo impegno per i diritti civili degli afroamericani. Eppure nessuno di loro è mai diventato un santo! Dico di più: nessun protestante si sognerebbe mai di pregare Dio attraverso Bonhoeffer o Luther King. Il problema sta qui: nel fatto che al credente esemplare venga accordata una particolare forma di devozione, se non addirittura un culto.
Questo per un protestante è più che un problema. Solo Gesù Cristo è l’unica via verso Dio; i santi, per esemplari che siano, non possono usurpare questo ruolo che, nella comprensione evangelica, è esclusivamente di Cristo. Solus Christus, Cristo soltanto, è infatti una delle parole d’ordine della Riforma. Il problema sta dunque qui. Detto questo, debbo ancora fare una precisazione. Anche se come evangelici non canonizziamo santi, tuttavia le parole santità e santificazione fanno parte del nostro vocabolario di fede. La Riforma protestante non le ha cancellate; ne ha dato piuttosto un significato più aderente all’insegnamento della Bibbia. Per un protestante, infatti, la santità non riguarda tanto la grandezza spirituale di un credente, ma è piuttosto una vocazione rivolta a ogni cristiano. Santi sono infatti tutti coloro che appartengono a Dio e che nella loro vita sono chiamati a compiere la sua volontà: ognuno nella condizione in cui si trova, nella quotidianità della vita, nella pratica del lavoro, nell’essere presente nella società. Ricordo un inno che si canta nelle chiese presbiteriane americane e che chiede chi sono i santi del Signore? La risposta è la maestra a scuola, il postino, il dottore, la panettiera... È nella quotidianità – e quindi anche in una vita non eclatante, ma fedele e consapevole – che la santità si realizza; nel modo in cui stiamo al mondo e sappiamo testimoniare della vita nuova donataci da Cristo. Essere santi, per un protestante, significa essere consapevoli di questa chiamata e rispondere a essa.
Luca Baratto in “Riforma” - 9 maggio 2014