L'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, citato dalla Procura di Caltanissetta come teste al processo "Borsellino quater" si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto "imputato di reato connesso". Mancino deve infatti rispondere falsa testimonianza a Palermo nel processo per la trattativa Stato-mafia. L'ex presidente del Senato ha spiegato alla Corte d'Assise che è ancora in attesa di essere interrogato dalla Procura di Palermo per meglio spiegare la sua posizione e che fino ad allora preferisce non dire nulla. Sono stato interrogato - ha detto Mancino - sia dalla procura di Caltanissetta che da quella di Palermo e a volta da entrambe le Procure. So che c'è un interferenza fra le due procure che seguono rispettivamente il processo sulla trattativa che sulla strage di via d'Amelio, ma non vorrei essere ulteriormente oggetto di indagine fra le due Corti d'assise. Sono stato presente nelle udienze condotte dal giudice per le udienze preliminari, Morosini, ma non sono mai stato interrogato", ha puntualizzato l'ex ministro, che ha quindi concluso: "Ritengo di volermi avvalere della facoltà di non rispondere, non per sottrarmi alle valutazioni della Corte d'Assise di Caltanissetta ma per non interferire in un procedimento, quello di Palermo, dove non sono stato ancora interrogato. Confermo la mia scelta e dichiaro di avvalermi di questa facoltà di non rispondere".
Il confronto tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, che risale al 2011 nell'ambito del processo al generale Mario Mori, entrerà nel processo per la strage di via D'Amelio che si celebra davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta. Lo ha deciso il Presidente della Corte d'assise Antonio Balsamo che ha accolto la richiesta del procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari e dell'aggiunto Nico Gozzo. Le parti non si sono opposte, dunque Balsamo ha acquisito il fasicolo. Acquisito inoltre i verbali delle dichiarazioni rese dallo stesso Mancino ai magistrati di Palermo.
Martelli aveva affermato di aver chiesto conto e ragione a Mancino dei colloqui riservati fra gli ufficiali del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Colloqui che, secondo i magistrati, avrebbero dato il via alla trattativa tra Stato e mafia. Ma Mancino ha sempre negato, dicendo con forza di non avere mai parlato del Ros e di Ciancimino con Claudio Martelli. I due politici erano stati messi a confronto dai magistrati di Palermo. Un faccia a faccia drammatico che adesso entra a far parte del processo Borsellino.
E, deponendo al processo, l'ex ministro dell'Interno Virginio Rognoni ha ribadito: "Trasecolai quando vidi i giornali il mio nome sul cosiddetto 'contropapello'". Il nome di Rognoni venne fatto nel corso di un'audizione alla Commissione antimafia dal Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo e dal pm Nino Di Matteo rispondendo a un componente della Commissione antimafia che gli chiedeva quali nomi di politici comparissero nel "cosiddetto papello numero due", cioè il 'contropapello' con le richieste di Cosa nostra allo Stato.
"Ciancimino ha consegnato molti documenti - aveva ricordato Di Matteo - tra cui il contropapello che, secondo la polizia scientifica, è scritto da Vito Ciancimino". I magistrati avevano poi fatto i nomi di Mancino e Rognoni ricordando che erano già emersi durante il dibattimento e spiegando che Vito avrebbe potuto dire che Rognoni e Mancino, "al di là del fatto che fosse vero o no", erano a conoscenza della trattativa.
"L'allora presidente della Regione, Piersanti Mattarella mi espresse le perplessità e le difficoltà che stava incontrando per rinnovare la politica regionale e in particolare avrebbe voluto mettere un pò d'ordine nel settore degli appalti pubblici. Per lui, Vito Ciancimino, rappresentava soprattutto un avversario politico".
Lo ha detto Virginio Rognoni, ministro dell'Interno tra il 1978 e l'83 nel governo Andreotti, deponendo a Caltanissetta al Borsellino quater. Il teste, ha anche parlato del suo rapporto con il generaleCarlo Alberto Dalla Chiesa. "Dopo la sua nomina a Prefetto, mi disse - ha riferito Rognon i- che sicuramente in Sicilia si sarebbe scontrato con molte persone e fra queste anche con Vito Ciancimino. 'So che vado incontro a delle difficolta' da parte anche della corrente andreottianà, mi disse Dalla Chiesa. Dava la sensazione che a Palermo non sarebbe stato ben accolto".
"L'ultima volta che vidi il generale fu a Ficuzza, il 15 agosto. In quell'occasione mi spiegò che si sarebbe dovuto svolgere un incontro con tutti i prefetti siciliani per creare un punto di riferimento centrale nella lotta alla mafia. L'incontro era fissato per il 7 settembre ma il 3 settembre del 1982, il prefetto venne assassinato", ha ricordato Rognoni. Sulla presenza del suo sul cosiddetto "contropapello" redatto da Vito Ciancimino, Rognoni ha sostenuto "di aver appreso la notizia dal giornale. Non mi resi conto perchè il mio nome fosse inserito in quel documento". L'ex ministro, rispondendo ad una domanda del Pm, ha chiarito che nel '92, nessuno lo contatto' per abrogare la legge Rognoni-La Torre: "Dopo il 92 le forze politiche continuarono ad avere la stessa posizione che avevano già assunto in precedenza nella lotta alla mafia. L'assassinio di Falcone prima e quello di Borsellino dopo, creò senz'altro molto turbamento nel quadro politico del Paese".