In questi giorni lo scenario spettacolare romano, anticipato dai giornali e da tutti i mezzi di comunicazione, ha creato un’orgia di emozioni e di immagini per cui il pensiero diventa raro e difficile. Soprattutto, viene valutata come frutto di ostilità preconcetta, di pregiudizi faziosie di mancanza di umiltà qualunque opinione dissenziente riguardo alle canonizzazioni di papa Giovanni XXIII e di papa Giovanni Paolo II. Io ritengo invece che le riserve, legittime, sull’evento, espresse da più parti del mondo cattolico, siano mosse da un sincero amore verso la propria chiesa. Ma non intendo discutere nel merito; vorrei però esporre quattro brevi considerazioni di carattere generale:
1) Come credente, penso che uno solo è davvero “il Santo”, cioè Dio. In questo mi ritrovo pienamente in sintonia con la tradizione ebraica e islamica. Mi preme preservare la “santità” assoluta di Dio. Semmai apprezzo molto il fatto che nelle chiese e nel mondo esistano “persone paradigmatiche” che, con la loro vita, hanno dato una testimonianza di fedeltà al messaggio di Gesù.Per me i “santi”, credenti o atei o agnostici, sono tutte quelle donne e tutti quegli uomini che, nella loro esistenza quotidiana, accendono nel mondo amore alla vita, passione per la giustizia, lottano contro il pregiudizio e il non senso e costruiscono relazioni non violente. Per nostra fortuna questi santi ogni giorno camminano per le nostre strade, sono gente in carne ed ossa e non immaginette da altare. Di questa “santità” possibile e quotidiana il mondo è tuttora molto ricco.
2)Si innalzano alla “gloria degli altari” le persone che sono state funzionali alle fortune dell’istituzione ecclesiastica, ne hanno promosso l’immagine, il pensiero, i dogmi, i poteri, il prestigio, il patrimonio e la penetrazione nelle istituzioni laiche.Attorno a questi santi si organizza la devozione, legata a una fede miracolistica, che sempre di più si fa amica del denaro. Santi e madonne incrementano il turismo religioso e il mercato del tempio dal quale i commercianti, tanto sacri che profani, traggono benefici tutt’altro che spirituali.
Senza contare che questa “santomania” ha annoverato nel calendario dei santi degli autentici carnefici, dei guerrafondai, centinaia di “benefattori” dell’istituzione ecclesiastica e di sterminatori degli “eretici”, persone sessuofobiche, misogine e omofobiche. Non vedo l’opportunità di una “canonizzazione” con cui la gerarchia dichiari santo chi viene proposto come “canonico”, cioè autenticamente cristiano e cattolico. Si tratta di un’operazione che molte volte avviene manipolando la storia della persona che, in tal modo, viene ricondotta dentro l’obbedienza e l’ortodossia cattolica. Le canonizzazioni sono modalità trionfalistichee spettacolari con cui l’istituzione ufficiale celebra se stessa e si autolegittima.Come se il trionfo dell’entrata in Gerusalemme dovesse essere per Gesù lo strumento di salvezza, invece di quella testimonianza di giustizia e di coerenza che di lì a poco l’avrebbe condotto incatenato e crocifisso davanti al potere oppressivo del mondo.Spesso la fabbrica dei santi percorre una strada diversa consentendo all’istituzione di rifarsi la faccia con persone pulite, trasformando sapientemente il diavolo in acqua santa.Tante volte si verifica ciò che scrive il vangelo di Matteo al capitolo 23, 29: le chiese “edificano le tombe dei profeti e adornano i monumenti funebri dei giusti” che hanno perseguitato e colpito a morte in mille modi.Talune persone, infatti,dapprima persino malviste o condannate dall’autorità ecclesiastica, con il trascorrere del tempo vengono “sagomate”, ritoccate e ridotte a statuine di gesso. Il loro messaggio, spiritualizzato e debitamente smussato, permette la riabilitazione e il recupero della persona. Fra qualche anno potrebbe toccare a Oscar Romero, il vescovo salvadoregno abbandonato dal Vaticano e poi assassinato mentre celebrava la messa.
3)In un momento in cui si registra un indebolimento di consenso e si verificano tensioni interne tra correnti e movimenti ecclesiali, le gerarchie compiono un’operazione di ricompattamento, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Si accontenta la “chiesa conciliare” che si rispecchia in papa Roncalli e si consolidano i legami con tutta quell’area tradizionalista e anche reazionaria che si rifà a papa Wojtyla.
4) Avrei preferito che papa Francesco avesse avuto il coraggio di sospendere questa sceneggiata. La credibilità evangelica di papa Bergoglio è a rischio in questa “conciliazione”, in cui avverto, al di là dei riferimenti ai due papi, la mancanza di una riflessione teologica rigorosa, sostituita da un trionfalismo cattolico che coinvolge, ma non fa crescere, il popolo di Dio. Certo, mettere in scena in un colpo solo quattro papi, “due in cielo e due in terra”, resterà nella storia dello spettacolo, vero e proprio tsunami papolatrico, ma in questo trionfo della mondovisione, in questa “orgia mediatica”, non vedo tanto incarnarsi l’evangelo, quanto un cedimento alla mondanità. Ed è proprio in giornate come queste che si capisce bene come Lutero potesse considerare Roma la nuova Babilonia.
Violairis - 27 aprile 2014