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21/04/2014 16:55:00

Presunta trattativa Stato - mafia. Il processo resta a Palermo

 Resta a Palermo il processo sulla trattativa Stato-mafia. Così hanno deciso i giudici della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Stefano Agrò, respingendo l'istanza di remissione presentata dagli avvocati Enzo Musco, Basilio Milio e Francesco Antonio Romito, difensori degli ex ufficiali dell'Arma Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, alla sbarra insieme con boss mafiosi, ex politici, ex ministri e Massimo Ciancimino. Alla base dell'istanza per il trasferimento del processo a Caltanissetta, sono stati addotti motivi di preoccupazione per la pubblica incolumità dopo le minacce di morte rivolte da Totò Riina al pm Nino Di Matteo.
Mori, Subranni e De Donno sono stati anche condannati al pagamento delle spese processuali. Il verdetto è stato emesso dopo una camera di consiglio che è durata una novantina di minuti.
Per l'inammissibilità dell'istanza si era pronunciato, nel corso dell'udienza che si è svolta a porte chiuse, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Edoardo Scardaccione, così come l'Avvocatura dello Stato che rappresenta il Consiglio dei ministri. Anche i legali delle parti civili presenti si sono opposti al trasferimento. "No" al trasferimento da parte dei difensori di Massimo Ciancimino e del pentito Giovanni Brusca e persino dell'avvocato Luca Cianferoni che assiste Totò Riina. Pure i difensori di Leoluca Bagarella e Nino Cinà si sono opposti al trasferimento.
Nessun interesse per la rimessione è stato dimostrato dai legali di Marcello Dell'Utri, gli avvocati Pietro Federico, Giuseppe Di Peri e Massimo Krogh, quest'ultimo convalescente per un intervento chirurgico. Assenti pure i legali dell'ex ministro Nicola Mancino. Tra le parti civili l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, rappresentato dagli avvocati Franco Coppi e Francesco Bertorotta, ha ritenuto di non intervenire all'udienza.
Il prof. Enzo Musco - che ha parlato a nome degli altri due difensori - ha sostenuto che il processo doveva essere trasferito a Caltanissetta non solo per motivi di sicurezza, ma perché «è un processo politico», come emerge dalla deposizione del procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, davanti al Csm, nel corso della quale è stata rilevata la "spaccatura" in seno alla Procura di Palermo sulla conduzione dell'inchiesta giudiziaria sulla trattativa, come emergerebbe dalla lettura della sua deposizione a Palazzo dei Marescialli. Le dichiarazioni di Messineo dimostrerebbero - secondo il prof. Musco - la spaccatura del pool e i condizionamenti imposti dall'ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia nella conduzione del processo in vista della sua successiva candidatura politica.
«La richiesta di trasferimento - ha spiegato l'avvocato Giovanni Airò, che rappresenta il Comune di Palermo - ha avuto un esito scontato perché mancavano i presupposti per togliere il processo al suo giudice naturale. La città di Palermo per questo genere di processi è la città più sicura e meglio attrezzata d'Italia, data la lunga esperienza che purtroppo ha maturato nel corso degli anni».
Parole confermate dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che coordina il pool che ha istruito il procedimento: «Palermo è una città abituata alle tensioni dei processi ed è attrezzata ad affrontarle. Ora ci auguriamo - ha aggiunto - che il dibattimento prosegua nella sua fisiologia nel confronto tra le parti serenamente e senza scossoni».
Intanto, a Palermo, è stata fissata per il 24 aprile, davanti al Tribunale del riesame, l'udienza che dovrà decidere sull'impugnazione dell'ordine di custodia cautelare in carcere emesso l'8 aprile dalla Corte d'appello nei confronti di Marcello Dell'Utri. A ricorrere contro l'arresto, motivato col pericolo di fuga dell'ex senatore, attualmente ricoverato in stato di detenzione in un ospedale di Beirut, sono stati gli avvocati Krogh e Di Peri. Secondo i legali, l'ex senatore Pdl, che attendeva la sentenza in Cassazione del processo in cui è imputato per concorso in associazione mafiosa, non aveva alcuna intenzione di fuggire. La decisione della Suprema Corte, prevista per martedì scorso, è stata rinviata al 9 maggio.