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14/03/2014 07:10:00

Un anno di mafia /5. Omertà, affari, massoneria. Trapani, il regno di Messina Denaro

Una mafia radicatissima nel territorio. Che coinvolge tutti i settori economici, che fa affari, che è esperta in appalti, bandi, energie rinnovabili. Che cammina a braccetto con politica, imprenditoria, massoneria. Una mafia “in grado di condizionare pesantemente la realtà sociale, economica ed istituzionale”. E’ quella della provincia di Trapani. E’ la mafia guidata dal super latitante Matteo Messina Denaro. Tra tutte le organizzazioni del territorio siciliano, nelle province, Cosa nostra in provincia di Trapani appare quella più dura da scardinare, quella coperta da omertà, complicità, collusioni in più strati della società, che rendono il territorio la fortezza di Matteo Messina Denaro, latitante da oltre 20 anni.
Le caratteristiche della mafia trapanese sono molto simili a quella palermitana, con cui sono molto intensi i rapporti. Alleata da sempre con le cosche corleonesi, Cosa nostra trapanese ha agito in sinergia con esponenti delle famiglie mafiose della provincia di Palermo, presso le quali è stata accreditata a suo tempo da Totò Riina. Questa vicinanza, scrive la Direzione Nazionale Antimafia nel suo rapporto annuale, “si è rafforzata soprattutto dopo l’assunzione da parte di Matteo Messina Denaro del ruolo di rappresentante dell’intera provincia di Trapani, atteso che in territorio palermitano il Messina Denaro ha solidi rapporti e precisi punti di riferimento anche nella cosca di Brancaccio, già retta da Giuseppe Guttadauro (peraltro oggi libero per avere espiato la pena), fratello di Filippo, il quale ultimo proprio del latitante è cognato, per averne sposato la sorella Messina Denaro Rosalia”. Le indagini degli ultimi anni non hanno messo in discussione o evidenziato mutamenti rilevanti nella struttura di Cosa nostra in provincia di Trapani. Regna la calma e la collaborazione tra le famiglie ormai da 20 anni, tutto per seguire la strategia della sommersione e del mescolarsi con la società. Cosa nostra in provincia di Trapani rimane articolata secondo gli schemi classici delle famiglie, mandamenti, rappresentante provinciale, consiglieri. Le famiglie mafiose in provincia di Traèani sono 17, riunite in 4 mandamenti. E’ utile riportare l’elenco fatto dalla Dna nel suo rapporto.
 

1) il mandamento di Trapani ricomprende le famiglie di Trapani, di Valderice, Custonaci e di Paceco. Pur avendo perso la centralità e rilevanza che aveva assunto in passato con la reggenza dei Minore, il mandamento di Trapani conserva tuttora una sua valenza nella composizione del nuovo assetto mafioso provinciale e regionale. L'attuale capo mandamento, Virga Vincenzo, latitante sino al febbraio 2001, data del suo arresto, condivideva a livello provinciale le responsabilità di gestione e direzione di "cosa nostra" d'intesa con il rappresentante provinciale Messina Denaro, che ebbe a facilitarne l'ascesa al vertice dell'organizzazione trapanese. Successivamente alla cattura del Virga, la reggenza è stata affidata a Francesco Pace, poi arrestato nel 2005, ma il mandamento ha continuato a mantenere collegamenti con l’imprenditoria e il mondo politico, permanendo nei settori più produttivi del capoluogo. Attualmente il mandamento è retto da esponenti anziani dell’organizzazione che gestiscono in maniera decisamente riservata le attività della consorteria storicamente improntata da una propensione “imprenditoriale”.

2) Il mandamento di Alcamo, che ricomprende le famiglie di Alcamo, Calatafimi e Castellammare, nel passato ricomprendeva anche la famiglia di Camporeale, il cui rappresentante era Lillo Sacco; durante la guerra di mafia dei primi anni '80 il mandamento di Alcamo venne sciolto e le relative famiglie furono aggregate al mandamento di Mazara; successivamente venne ricomposta la famiglia di Alcamo e ricostituito il relativo mandamento. Quest’ultimo, a causa della sua posizione geografica, è quello che più ha risentito dell'influenza palermitana e, in particolare, del condizionamento della "famiglia" corleonese e del confinante mandamento di San Giuseppe Jato. Così, se fino ai primi anni ottanta la scena è stata dominata dalla famiglia Rimi, legatissima a Gaetano Badalamenti e a Stefano Bontade, l'avvento dei corleonesi ha in seguito determinato l'ascesa di Vincenzo Milazzo, figura intorno alla quale si sono raccolti gli affiliati che già facevano capo ai Rimi. Del resto per i corleonesi il territorio alcamese non solo rivestiva particolare interesse sotto profilo logistico - strategico, ma costituiva un riferimento estremamente importane per il traffico degli stupefacenti, come dimostra la scoperta della raffineria di Contrada Virgini avvenuta nel 1985. Con l'uccisione di Vincenzo Milazzo, voluta dal Riina, il mandamento ha perduto progressivamente autorità, subendo sempre più la diretta influenza dei mandamenti di Trapani, di Castelvetrano e delle famiglie corleonesi vicine. Il controllo della "famiglia" sembra essere ancora nelle mani dei Melodia, già legati ai Ferro Giuseppe e Vincenzo, oggi collaboratori di giustizia, che hanno avuto il merito di evidenziare il contributo di “cosa nostra” trapanese nelle sanguinose stragi del 1993. Alcune rilevanti operazioni , quali “Progetto Tempesta”, “Abele”, “Dioscuri” etc., hanno decimato anche i vertici delle famiglie di Alcamo e di Castellammare del Golfo.


3) Il mandamento di Castelvetrano, in ragione della sua posizione geografica e dello spessore della "famiglia" mafiosa che ivi é insediata, svolge oggi un ruolo centrale negli equilibri di Cosa nostra. Ai Messina Denaro appare, infatti, riconducibile non soltanto l'indiscussa leadership sul mandamento, ma anche un ruolo di decisiva preminenza, unitamente al sodalizio mazarese, in seno all'organizzazione di Cosa nostra dell'intera provincia e dello stesso vertice regionale, in uno ad una solida alleanza con il gruppo dei corleonesi, ben testimoniata dalla partecipazione alla strategia stragista continentale del ‘93. Il Mandamento, a cui capo è Matteo Messina Denaro, ricomprende le famiglie di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Salaparuta e Poggioreale (questi ultimi due centri formano un’unica famiglia), Partanna, Ghibellina, Santa Ninfa; Il profondo radicamento nel territorio consente al Messina Denaro, latitante dal 1993, di sottrarsi alle ricerche degli organi inquirenti, pur continuando ad esercitare in concreto la propria supremazia criminale. Nel 1998 l’operazione “progetto Belice” ha consentito l’arresto dell’ultimo dei Messina Denaro ancora in libertà, il fratello Salvatore; solo due giorni dopo l’operazione, l’anziano patriarca Messina Denaro Francesco, latitante dal 1988, è stato rinvenuto cadavere in aperta campagna, deceduto per arresto cardiaco. Salvatore Messina Denaro, scarcerato nel 2006, è stato nuovamente tratto in arresto il 15.03.2010, nell’ambito dell’operazione “Golem II”, che ha portato alla decapitazione dei vertici della famiglia mafiosa castelvetranese e della schiera di collegamento con il latitante.


4) Il mandamento di Mazara del Vallo ricomprende le famiglie di Mazara del Vallo, Salemi, Vita e Marsala (quest’ultima declassata a famiglia dopo l’ultima guerra di mafia avvenuta alla fine degli anni ’80). E' storicamente il mandamento che per primo strinse un patto di alleanza con i corleonesi di Salvatore Riina. Retto da Mariano Agate, detenuto, e quindi dai sostituti Vincenzo Sinacori, poi divenuto collaboratore, e Andrea Mangiaracina, quest’ultimo latitante dal 1992 fino al 31.1.2003, ha rappresentato e costituisce ancora oggi un importante riferimento nella storia di "cosa nostra" trapanese. Il ruolo dell' Agate si è esteso ben oltre i confini dei mandamento stesso, tanto da farne una delle figure di maggior spicco dei vertici di Cosa nostra; è infatti acquisito come già negli anni settanta strettissima intesa corresse tra la "famiglia" mazarese e l'allora maggior esponente del gruppo corleonese, Luciano Leggio. Oltre alle indicate attività criminose, espressioni della partecipazione diretta dei mazaresi alla gestione dell'attività di vertice in "cosa nostra” la famiglia non ha trascurato di esercitare le attività tipiche connesse al controllo del territorio: dal narcotraffico al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, dal controllo della marineria di Mazara e del commercio delle carni macellate fino al condizionamento delle gare per la realizzazione di opere pubbliche nel territorio regionale.


Il rapporto annuale della Direzione Nazionale Antimafia arriva ad analizzare le indagini e i processi fino al luglio 2013. Nella relazione infatti non figurano alcune operazioni antimafia messe a segno negli ultimi mesi. Tra tutte l’operazione Eden, che ha portato in carcere alcuni presunti fiancheggiatori del boss latitante Messina Denaro, tra cui la sorella e alcuni parenti. Il processo è appena cominciato a Palermo, alla sbarra 22 persone.
Nonostante le tante operazioni antimafia l’organizzazione continua a dimostrarsi molto vitale, ha un esercito di accoliti con disponibilità finanziarie molto consistenti, ed è in grado di rigenerarsi continuamente. Sul controllo del territorio da parte di cosa nostra la Dna scrive: “si realizza, da un lato, con l’imposizione delle strategie e degli interessi di Cosa Nostra attuata mediante l’utilizzo indiscriminato della violenza, nelle diverse modulazioni della minaccia e dell’intimidazione (incendi, danneggiamenti). Il costante ricorso ad attentati incendiari (nei confronti di beni mobili, terreni, aziende o addirittura abitazioni di soggetti sottoposti a pressioni di natura estorsiva) è un connotato comune a tutti i territori della provincia, che quasi quotidianamente vengono interessati da tale fenomeno”. Nel periodo preso in esame, giugno 2012- giugno 2013, si sono verificati addirittura cinquantadue attentati incendiari che appaiono direttamente ascrivibili alle logiche criminali dell’organizzazione mafiosa operante nella Provincia di Trapani”.
Poi c’è il punto sull’infiltrazione nelle pubbliche amministrazioni. Negli ultimi tempi è stato sciolto per mafia i Comuni di Salemi e di Campobello di Mazara. E una commissione prefettizia ha ispezionato la Provincia Regionale di Trapani, in seguito all’arresto del consigliere provinciale Santo Sacco. Alla fine il Ministero dell’Interno ha deciso che non c’erano gli estremi per sciogliere la Provincia. Ma in questo territorio, come scrive la Dna, Cosa nostra non manca di fare pressioni sulle amministrazioni locali. Su questo punto, la Dna ha evidenziato una delle specificità della criminalità trapanese, che affonda le sue origini a tempi remoti. Ossia lo strettissimo legame con le logge massoniche e settori della borghesia. C’è un procedimento evidenziato dalla Dna per trarre conferma di questo rapporto. E’ quello rubricato “Grancini Rodolfo + 7”. Qui, scrive la Dna, “gli imputati fanno capo ad un complesso circuito relazionale che ricomprendeva personaggi delle istituzioni, liberi professionisti, impiegati pubblici; circuito relazionale rafforzato, peraltro, dalla comune appartenenza dell’ Accomando e di altri indagati alla loggia massonica denominata Serenissima Gran Loggia Unità d'Italia”. Anche all’interno dell’inchiesta “Eolo” è stato registrato il tentativo di Cosa nostra mazarese di ricostituire le logge massoniche coperte e infiltrarsi nel settore delle energie alternative attraverso “rapporti di corruttela con pubblici amministratori e imprenditori dell’Italia settentrionale, operanti nel settore della green-economy”.
La Dna sottolinea anche il controllo del territorio in maniera penetrante, tale da riscuotere consensi nell’opinione pubblica. E’ un muro di omertà a proteggere le cosche. E la Dna, a proposito dei consensi ottenuti dall’organizzazione, scrive che “si sono concretizzati in comportamenti che hanno assunto contorni di vera e propria connivenza, determinata, oltre che da intuibili stati di paura, anche dalla condivisione dei modelli di vita proposti dall’organizzazione. Conseguentemente il proverbiale muro di omertà, ma anche di complicità, che generalmente avviluppa il fenomeno mafioso, in provincia di Trapani, più che altrove, è divenuto uno dei punti di forza della suddetta organizzazione”. In questa situazione è quasi normale che Matteo Messina Denaro continui a essere latitante, e questo nonostante l’attività delle forze dell’ordine e le inchieste antimafia. C’è anche una connivenza culturale, la Provincia di Trapani è tra le più omertose. Un sottostrato di omertà che crea quella rete di fiancheggiatori a Cosa nostra. E’ quella che la Dna chiama “zona grigia” di Cosa nostra. Una zona grigia fatta di fiancheggiatori, ma anche di imprenditori e politici. Gli affari di Cosa nostra qui sono a 360 gradi. Ogni settore economico è preso di mira attraverso un capillare contorllo delle attività considerate strategiche: la produzione di calcestruzzo e di inerti, il settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti, le speculazioni edilizie. E ancora l’infiltrazione nei lavori pubblici, il pizzo chiesto nelle più rilevanti iniziative imprenditoriali. La Dna sottolinea inoltre il particolare interesse rivolto all’indotto derivante dagli impianti di produzione di energie alternative che beneficiano di particolari forme di finanziamento pubblico agevolato. “Da qui il tentativo da parte delle organizzazioni criminali di intessere rapporti d’affari con funzionari pubblici e soggetti attivi nella catena autorizzativa in tale lucroso campo d’investimento”.
E ancora il mercato vinicolo, quello oleario, la grande distribuzione. Un’attività capillare, che frutta molti guadagni che vengono reinvestiti anche nel traffico di stupefacenti. Le piazze più attive, per la Dna, sono quelle di Salemi e Mazara del Vallo. Le estorsioni sono ancora dei redditizi modi di sostentamento per le famiglie. Marsala, Mazara, Campobello, Alcamo, Castellammare, sono città in cui sono particolarmente presenti le pratiche estorsive.
 



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