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18/02/2014 01:18:00

LE SURRÉALISME ET L’OBJET. Imparare dal surreale

 Chi non è mai stato sedotto dalla follia surrealista della prima metà del Novecento?

Al Centre Pompidou una grande occasione per ricordare l’importanza del surrealismo nel processo creativo contemporaneo. Grazie alle riflessioni sviluppate da Breton e dagli artisti surrealisti, l’arte è entrata nel nostro quotidiano, fondendosi con la vita e i suoi limiti. Sono in mostra i desideri più nascosti della mente umana finalmente libera da freni inibitori, razionali e morali, insieme a nuovi punti di vista su oggetti comuni che, filtrati dagli occhi dell’abitudine, purtroppo non conosciamo più.

Rendere inutilizzabile un oggetto accostandone un altro di diversa natura come fa Man Ray con Cadeau incollando numerosi chiodi sul piano di un ferro da stiro o adottando un materiale del tutto estraneo ed inadeguato come fa Meret Oppenheim con Le Déjeuner en fourrure, consente di crearne di nuovi, inediti, capaci di contraddire tutte le nostre certezze. L’ assurdità di questa semplice operazione fa crescere le domande più che le risposte sulla realtà tangibile e qual è se non questo il compito fondamentale dell’arte, compagna fedele del buon design?

Attraversando lo spazio espositivo il nostro pensiero si lascia incuriosire ed è libero di interpretare le opere secondo le più svariate associazioni di immagini e di idee. Le sensazioni sono molteplici. Spiazzamento, sorpresa e talvolta fastidio se non riusciamo ad abbattere i muri delle convenzioni e lasciare spazio a desideri inconsci, intimi e spesso illogici.

Ciascun artista ha concepito e sviluppato l’oggetto surrealista in modo molto personale a seconda delle proprie attitudini o “problemi psichici” come affermò Freud in poche righe scritte nel 1938 dopo aver conosciuto Salvador Dalì. Da ready made l’oggetto diventa assemblage, per assumere in seguito una dimensione prima religiosa e poi erotica. Tale metamorfosi è ben descritta dal curatore della mostra Didier Ottinger che racconta le opere, più di duecento, in ordine cronologico, ripercorrendo le cinque grandi esposizioni dell’oggetto surrealista. La prima alla galleria Pierre Colle nel 1933, la seconda nel 1936 alla galleria Charles Ratton, l’esposizione internazionale del 1938 presso la galleria di Beaux-Art, l’esposizione del 1947 alla galleria Maeght e la mostra Eros organizzata nel 1959 alla galleria Cordier. Una piccola parte della mostra è dedicata anche agli artisti contemporanei come Cindy Sherman, Théo Mercier, Paul McCarthy o Haim Steinbach.

Nelle prime sale sono collocate le opere più famose dei capiscuola. Man Ray, con i suoi scatti e le sue forme, ci insegna il valore delle ombre. Duchamp che tutto è possibile, anche portare un po’ d’aria di Parigi a New York, riempendo un’ampolla di vetro da 50 cc per usi medici e portandola come dono a Louise e Walter Arensberg nel 1919. E Giacometti, a cui è dedicata una delle dodici sale, ci svela la preziosità del non contatto, lo spazio tra due elementi che si attraggono e si completano solo immaginando un loro ideale movimento, come avviene in Boule Suspendue del 1930-31 e in Pointe à l'œil del 1932.

A chiusura del percorso espositivo troviamo le sculture di Joan Mirò, realizzate interamente in bronzo o partendo da oggetti e materiali ritrovati, che appaiono come la materializzazione dei suoi dipinti. Sono personaggi antropomorfi ben lontani dalle esplicite figure erotiche di Dalì o le Poupée di Hans Bellmer. Mirò, tanto quanto Giacometti, dimostra come sia possibile rappresentare il piacere con pochi e astratti gesti sulla materia. Combina sensualità, ironia e vivaci colorazioni, rivelando un carattere quasi pop. A rimarcare il tema del desiderio, dell’immaginazione e del proibito contribuisce l’allestimento con teli semitrasparenti su cui vengono proiettati video d’artista e documenti fotografici delle principali mostre storiche parigine, una luce soffusa e un suono costante: gli ansimi di una donna.

Concedetevi dunque un paio d’ore per osservare e conoscere l’impossibile. Non può che aiutarvi a rendere migliore il vostro possibile. Fino al 3 marzo a Parigi. Centre Pompidou.

 

Giulia Russo

Architetto



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