Giacomo Di Girolamo, direttore del quotidiano on-line Marsala.it, giornalista della provincia di Trapani, una delle province a più alto tasso di mafiosità, da sempre racconta la mafia e l'antimafia del suo territorio. Nel 2012 ha scritto “Cosa grigia. Una nuova mafia invisibile all'assalto dell'Italia” (Ed. Il Saggiatore) dove spiega la mutazione in atto della mafia. Molto impegnato nello studio della lunghissima latitanza di Matteo Messina Denaro, tanto che nel 2010 ha scritto il libro “L'invisibile. Matteo Messina Denaro” (Editori Riuniti), e conduce una trasmissione radio “Dove sei Matteo?” su Rmc 101. Ma il suo approccio nel raccontare i fatti dà fastidio, infatti negli ultimi due anni è stato citato a giudizio per la sua linea editoriale ben due volte dal sindaco Giulia Adamo. La prima volta a nome di tutta la cittadinanza, unico caso in Italia in cui un sindaco impiega soldi pubblici per chiedere il risarcimento danni per una linea editoriale troppo ostile all'amministrazione. Ed ora la Sig.ra Adamo ha chiesto un nuovo risarcimento danni, a nome suo, per 150mila euro. Una vicenda che fa pensare ad un tentativo di imbavagliare l'informazione. A raccontare la vicenda ad ANTIMAFIADuemila è lo stesso Di Girolamo che nel ricostruirla evidenzia e fa emergere tanti aspetti marci della nostra società. La domanda viene spontanea, in questo paese sarà mai possibile raccontare i fatti così come avvengono? Senza incorrere in continui ostacoli e impedimenti burocratici e non, il cui solo obbiettivo è nascondere la realtà o manipolarla?
Pochi giorni fa sei stato citato a giudizio, per la seconda volta dal sindaco di Marsala Giulia Adamo, come siamo arrivati a questo punto? Cosa hai da dire a riguardo?
La prima citazione a giudizio avvenne a maggio dell'anno scorso e fu l'unico caso in Italia in cui un sindaco a nome di una comunità cita un giornalista della sua città per danni. Il sindaco Giulia Adamo ritenne che la mia attività giornalistica fosse dannosa per l'immagine della città. Perchè quando qualcuno si collega sui siti internet e cerca Marsala trova i miei articoli che parlano di mafia, corruzione e omicidi, in questo modo, a suo dire, non aiuto la mia città a promuoversi. Così a giugno mi chiese 50mila euro per risarcimento danni. In quell'occasione ho parlato di bullismo istituzionale perchè è una soverchieria di diritto questo tipo di comportamento, dal momento che non è una richiesta di citazione danni per uno o più articoli ma per un'intera attività, quindi un tentativo di gambizzare la mia attività professionale. Aggiungo che una richiesta di 50mila euro è molto penosa perchè molto tecnica e scientifica, fosse stata di 5 milioni di euro avrebbe avuto un valore simbolico dal punto di vista politico ma chiaramente sarebbe morta lì. 50mila euro invece è una richiesta di risarcimento danni calibrata con il tentativo di fare male poichè un giudice per questa somma può pensarci. Inoltre trattandosi di giudizio civile il convenuto, in questo caso io, non ha nessuna garanzia, perchè a differenza della procedura penale, dove se io querelo una persona si apre un'inchiesta. In sede civile il processo si fa in camera di consiglio, per lo più documentale. Magari il giudice è un giudice onorario e quindi può decidere di inventare la giurisprudenza e di condannarti anche se hai ragione, non sarebbe la prima volta che accade. Parlo di gambizzazione della mia professionalità perchè è chiaro che per me il tutto ha un costo, mina alla mia serenità e alla tranquillità del mio lavoro.
La seconda citazione invece risale a sabato 1° febbraio, la richiesta di risarcimento è per 150mila euro ma questa volta a nome di Giulia Adamo, non come comune di Marsala, però con lo stesso contenuto della precedente. In teoria non si può chiedere i danni per le stesse cose in due ruoli diversi, c'è un principio di diritto che afferma il “Ne bis in idem” proprio per evitare questa cosa. Per quest'altra citazione ci sarà l'udienza a giugno. Questa si aggiunge ad un clima che non è per niente sereno perchè ho sempre a che fare con minacce ed altre querele, passo moltissimo tempo in tribunale, ricevo diffide continue, telefonate anonime, atti intimidatori di ogni tipo.
L'accusa che ti viene fatta nella citazione a giudizio fa riferimento a qualche tema particolare o ad articoli specifici?
Vengono elencati una serie di articoli ma sono riferimenti a fatti assolutamente dimostrati che riguardano la vita cittadina, per i quali mai sono avvenute smentite o segnalazioni da parte dell'amministrazione. Sono articoli assolutamente pacifici, frutto di inchieste sul campo fatte da me e dai ragazzi con cui collaboro. Essendo professionisti, quando scriviamo ci guardiamo sempre di avere tutti i pareri, di avere tutte le opinioni, di contattare tutti gli uffici stampa delle varie amministrazioni. E' anomalo citare in giudizio oggi un giornalista per un articolo scritto due anni fa che non è mai stato né smentito né contestato.
Inoltre questa citazione, come l'altra, è piena di insulti. Addirittura si ride al concetto di giornalista antimafia. E' mortificante, non solo ci metto la faccia ma vengo anche ridicolizzato.
Mi sembra di capire quindi che è una situazione anomala anche dal punto di vista giuridico, per come è stata gestita...
Noi diamo sempre spazio a tutti per le repliche, chiedere i danni o aderire all'autorità giudiziaria è nel diritto delle persone. Il problema è quando viene fatta un'azione giudiziaria astutamente e scientificamente per gambizzare una persona. Purtroppo in Italia non esiste l'istituto che condanna alle spese l'autore della citazione a giudizio e quando il convenuto (colui che nel processo civile, è il soggetto contro il quale l'attore -soggetto attivo- propone una domanda giudiziale, ndr) vince le cause civili il giudice compensa le spese non condanna mai l'autore a pagarle. Quindi il convenuto subisce un danno economico, e non solo, perchè è innegabile che passa un periodo difficile. Mentre invece l'autore non rischia nulla, male che vada non ha ottenuto niente. Una persona ricca che non ha problemi a pagare gli avvocati porta avanti un'azione giudiziaria senza pensarci troppo. Tant'è che spesso queste citazioni sono scritte in maniera barbara, addirittura l'avvocato del comune mi paragonava a Minculp e non capivo cosa intendesse, poi ho capito che si riferiva a Minculpop. Ci sono orrori di italiano, strafalcioni giuridici, c'è ancora gente che mi cita e mi chiede i danni biologici che non sono più riconosciuti dalla giurisprudenza ormai da vent'anni. Perchè non mi denunciano in sede penale visto che sono un criminale e ho causato tutti questi misfatti?
Viene spontanea la domanda, come fa una persona a tutelarsi per poter fare il proprio lavoro?
Ci sarebbe un istituto, io sono laureato in giurisprudenza quindi tante cose le conosco, nel nostro diritto hai la possibilità di denunciare colui che si accanisce con azioni giudiziarie nei tuoi confronti. Però è un istituto che non viene mai applicato. Ci dovrebbe essere una norma che obbliga l'autore delle citazioni a giudizio a versare una cauzione, magari il 10 % del valore del risarcimento danni richiesto. Per esempio un tempo c'era l'abuso dei ricorsi al Tar da parte delle imprese, quelle che perdevano gli appalti facevano ricorso al Tar e bloccavano i lavori. Da quando hanno introdotto una tassa per chi fa ricorso al Tar l'impresa ci pensa due volte prima di fare il ricorso perchè lo fa solamente se ha ragione e se il gioco vale la candela, non per un capriccio. Dovrebbero fare la stessa cosa è l'unico modo per arginare la frequenza e la facilità di citazioni in giudizio e risarcimento danni.
Invece ora c'è la novità della mediazione obbligatoria. Significa che prima di andare in giudizio bisogna cercare la mediazione di alcuni istituti e devi pagarla anche se la rifiuti.
Certo non deve essere facile lavorare così...
Certamente così non posso continuare a vivere, sempre in tribunale a scrivere memorie, ad essere interrogato dai carabinieri. Ormai i carabinieri quando vengono a notificarmi le querele, quelle penali, neanche mi chiedono più i documenti, ci mettono “conoscenza diretta” perchè li conosco tutti ormai, e l'ufficiale giudiziario mi notifica le cose in strada.
La cittadinanza e la società civile che sono state chiamate in causa in questa faccenda come hanno reagito nei tuoi confronti? Hai ricevuto solidarietà e sostegno?
Sarei ingeneroso se dovessi dire che attorno a me non vedo il sostegno di tantissime persone. In occasione della prima citazione a giudizio un corteo spontaneo di cittadini si diede appuntamento sotto la redazione e mi accompagnò in una specie di protesta simbolica davanti al comune. Vedere sessanta, settanta, cento persone autoconvocate è una cosa importante. Così come molti cittadini hanno inviato mail di protesta al sindaco.
Però quello che non voglio succeda è di finire nella spirale di odio, per cui tutto quello che io scrivo è interpretato come se io fossi in odio ad una persona. Io non ho tempo di odiare le persone, non ne ho neanche voglia, a me piace semplicemente scrivere. Per ora sto riflettendo molto sul senso del mio mestiere, non sulle reazioni e su quanta gente è con me e quanta è contro. Io vorrei che ognuno facesse il suo mestiere e si confrontasse con me come in un paese normale, dove un giornalista lavora nel territorio senza schieramenti per cui ora sono l'idolo per quelli che odiano il sindaco e il nemico di quelli che invece lo appoggiano. A me non interessa nulla del sindaco, faccio solo il mio lavoro.
Il Consiglio comunale ha votato un documento dove si oppone alla prima citazione a giudizio, questa è una notizia positiva...
Certo, ho ringraziato pubblicamente, è un gesto che ha un grande significato politico ma ne ha poco dal punto di vista tecnico perchè l'azione legale compete al sindaco. Però è importante perchè fa capire che anche se molti consiglieri non mi considerano molto “simpatico” hanno avuto il buon senso di capire che c'è un limite a tutto, che la querelle non deve mai diventare una vicenda giudiziaria.
Questa è l'ennesima dimostrazione che la situazione del giornalismo e dell'informazione in generale è abbastanza tragica in Italia...
Sì. Noi siamo una categoria senza tutela, senza contratti, viviamo di stenti. O non fai bene il tuo mestiere oppure devi scontrarti con certe situazioni inverosimili.
Tanti giornalisti non parlano più di certi temi, perchè hanno due o tre mestieri perciò o fanno il giornalista come hobby, quindi hanno un approccio diverso da chi lo fa come mestiere, oppure c'è quello che fa il telegiornale ma è anche addetto stampa del sindaco, c'è quello che fa la radio però è anche addetto stampa della società che raccoglie i rifiuti. Potrà mai parlare dei disservizi dei rifiuti? Così succede che io faccio le inchieste sui rifiuti e il giorno dopo in un altro giornale c'è l'intervista al tizio fatto da chi è pagato per farle in un certo modo. Io ho sempre contestato l'ordine dei giornalisti che su questa cosa non fa nulla. Uno non può fare il giornalista e poi l'addetto stampa del deputato, deve scegliere: o fai uno o fai l'altro. Quindi se sei l'unico che non fa così o decidi di fare Don Chisciotte e cominci a fare il pazzo che denuncia tutto (però in Sicilia se uno fa così dura poco), oppure cerchi sempre un approccio laterale alle cose e di tirare avanti e cercare comunque di concentrarti sul tuo.
Cosa ti ha spinto a dedicarti a questo lavoro e ad interessarti del tema mafia?
A me è sempre piaciuto fare questo lavoro, secondo me una persona è felice se fa il lavoro che le piace. Io ritengo di saper fare il giornalista e non so fare altro, non ho un piano B nella mia vita per cui mi posso inventare di fare il grafico, l'artigiano o il commesso, ho sempre fatto questo e so fare solamente questo. Quello che mi spinge ad andare avanti è la felicità ma non nascondo che mi stanno facendo passare il piacere, e non lo dico perchè voglio farmi incoraggiare. Sto seriamente pensando di smettere con il giornalismo, nel senso che il mondo della comunicazione non si ferma al giornalismo d'inchiesta nella città in cui vivi. In questo momento sto pensando che il rapporto qualità prezzo non è conveniente, perchè faccio una vita assolutamente grama, che è un terno al lotto. Tant'è che ho detto ai ragazzi del giornale che questo tempo me lo prendo per riflettere e tirare le somme se vale la pena andare avanti o no. Sono molto amareggiato e stanco, non sta scritto che io debba continuare. A che pro?
Non ho mai creduto ad una funzione etica del giornalismo, o meglio, diciamo che il giornalismo ha una funzione etica come lo hanno tutte le professioni. Tutti i professionisti onesti hanno una funzione etica nel loro lavoro, io non sono uno di quelli che scrive perchè con la sua penna deve riscattare i mali del mondo. Scrivo perchè mi piace raccontare le cose e l'approccio che ho alle cose di mafia, che sono il mio argomento principe, è un approccio quotidiano nel senso che racconto la mafia perchè vivo in questa terra che è la provincia più mafiosa d'Italia. Se io dovessi vivere per vedere le reazioni delle persone morirei di stenti, nel senso che per le cose che scrivo e che denuncio su Marsala e sulla provincia di Trapani mi dovrei aspettare la rivoluzione, invece tutto continua com'è e nulla, o poco, cambia. Il senso del mio lavoro non è cambiare le cose, non lo faccio per questo, lo faccio perchè è il mio mestiere e voglio farlo bene, in fondo credo anche che se fai bene il tuo mestiere di conseguenza un po' le cose le cambi.
D'altronde tutte le storie che racconto di criminalità, di corruzione, d'inefficienza, di pubblica amministrazione, di deturpazione ambientale, sono tutte storie di persone che non hanno voluto dire di no o che non hanno voluto fare bene il loro mestiere: un funzionario che preferisce una tangente per fare passare una pratica, un tale che preferisce costruire in una zona protetta perchè così è più comodo...
Dallo spaccato che ci offri, sembra che la situazione non sia cambiata molto negli anni...
Le cose cambiano perchè uno come me vent'anni fa non sarebbe sopravvissuto ai trent'anni. Tempo fa la novità era non uccidere i giornalisti, ora che non si ammazza più nessuno per tagliare le gambe si utilizzano altri mezzi, quindi dobbiamo iniziare a concentrarci su questo. Forse più che migliorare, le cose si diversificano. Questo è importante perchè mentre la mafia si trasforma, purtroppo l'antimafia è ferma.
Come bisognerebbe rispondere secondo te a questa trasformazione della mafia dal punto di vista sia giornalistico che, più in generale, dell'attivismo antimafia?
Dal punto di vista giornalistico io cerco di raccontare in modo diverso le cose di mafia. Servirebbe proprio un linguaggio nuovo, meno carico di retorica missionaria, di cortei, più carico di contenuti, che secondo me all'antimafia mancano.
Non si può negare che va anche un po' di moda in questo periodo il tema dell'antimafia, è una parola molto usata, tanto che a volte perde di senso...
Certo, va di moda nel momento in cui diventa un contenitore vuoto o un abito che indossi perchè ci sta a pennello, quindi c'è il sindaco che fa l'antimafia di mattina poi di sera va a cena con il boss.
Questa perdita di significato lo viviamo nell'antimafia e non solo, perchè andiamo incontro ad una società sempre più focalizzata sull'immagine e sull'apparenza. Da dove possiamo partire per non svuotare di significato certe storie e certi argomenti?
Bisogna fuggire dalla retorica e recuperare alcuni valori culturali che sono universali, che non appartengono solo all'antimafia e che secondo me mancano. Ogni mese escono una decina di libri sulla mafia. Di questi, nove sono illeggibili perchè sono copia e incolla di ordinanze, di sentenze, di atti, non c'è neanche lo sforzo di interpretarli e di spiegarli alle persone. Già se il giornalista inizia a far recuperare il senso di leggibilità delle cose significherebbe rinnovare molto il linguaggio dell'antimafia. Recuperare i nostri canoni culturali è importante, io sono un accanito lettore e leggendo mi sono accorto che nei libri che hanno formato l'Italia c'è già la risposta a tutto. Per esempio ne I promessi sposi Manzoni nell'800 racconta l'Italia del '600 ma in realtà parla a noi, perchè ci sono i bravi, c'è Don Rodrigo che è il boss, c'è la chiesa di San Cristoforo impegnata e quella meschina di Don Abbondio, c'è la borghesia milanese, il primo pentito della storia d'Italia che è l'Innominato. Oppure ne I sommersi e i salvati di Primo Levi c'è il concetto di zona grigia. In questi 10-30 libri già c'è tutto, solo che noi l'abbiamo perso perchè siamo un Paese che non legge più, senza cultura. Il mio mestiere da giornalista è sollevare domande e dubbi, non è dare risposte. L'unica risposta certa che mi sono dato è l'importanza di recuperare il nostro canone culturale, questa grande tradizione che prima c'era perchè era nella storia di tutti noi.
Qual'è il canone culturale dell'antimafia oggi, Squadra antimafia? A Castelvetrano ogni 23 maggio invitano gli attori che fanno Squadra antimafia a fare la marcia per la legalità. Nel momento in cui la rappresentazione prevale sul canone e sul messaggio sforiamo il campo dell'antimafia, si perde tutto, e tutto diventa davvero una specie di loop retorico. Il valore di queste manifestazioni antimafia è lo stesso delle musiche degli aeroporti: di puro intrattenimento vuoto. Nelle scuole siciliane si spendono centinaia di migliaia di euro per progetti antimafia e fanno spesso laboratori di ceramica, corsi di scacchi, ma in questo modo è una grande finzione l'antimafia che si fa nelle scuole.
Io sono diventato antimafioso leggendo e studiando, non perchè a scuola veniva il grande giudice a parlare in un linguaggio incomprensibile di custodia cautelare. Il discorso è complesso, sicuramente ci sarà il modo di parlarne nelle scuole ma bisogna studiare l'approccio più corretto.
Per concludere, ti sei occupato spesso di Matteo Messina Denaro. Come leggi il contesto che si sta creando attorno a lui in questo periodo? Cimarosa che si pente, l'operazione Eden, Riina che dal carcere di Opera sembra quasi ripudiarlo...
Do una lettura molto semplice di questo fatto: la trattativa secondo me non esiste, nel senso che lo stato e la mafia hanno sempre trattato. Non c'è 'La trattativa del 92-93', quella è 'una trattativa', ce ne sono diverse. Ora è in corso una trattativa dove Riina ha posato Matteo Messina Denaro. Riina ovviamente sa di essere intercettato quando parla perchè non è stupido, sa che qualcuno con lui ha instaurato un ragionamento su Matteo Messina Denaro, magari in cambio di benefici o di qualcosa, e con questo messaggio fatto arrivare a tutti forse vuole dire 'non lo riconosco più, l'ho posato' come si fa nel mondo mafioso. Faccio questo ragionamento perchè ho visto e conosco molto bene questa situazione. Messina Denaro e Riina erano quasi padre e figlio, il rapporto tra loro era molto intimo quindi per me è troppo eclatante questo giudizio di Riina se non fosse dettato proprio da una voglia di dare un segnale. Mi aspetto che Messina Denaro venga preso presto, una latitanza per durare tanto ha bisogno di coperture istituzionali, ora invece è stato lanciato un segnale che significa: 'per me potete prenderlo'. Questo è il messaggio ricevuto dall'interlocutore di Riina, che è sempre dentro lo Stato ed è lo stesso interlocutore da 150 anni.
14 febbraio 2014 - Francesca Mondin - Antimafia Duemila