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07/02/2014 06:35:00

L'Unione Europea: in Italia corruzione preoccupante. Poche misure per il contrasto

 Per più dei tre quarti dei cittadini europei, e ben il 97% degli italiani, la corruzione è un fenomeno nazionale dilagante. Quasi 2 cittadini europei su 3 e l’88% dei cittadini italiani ritiene che la corruzione e le raccomandazioni siano spesso il modo più facile per accedere a una serie di servizi pubblici. Gli sforzi profusi dall’Italia sono notevoli ma la corruzione rimane un fenomeno preoccupante. Queste sono alcune delle conclusioni della prima relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, pubblicata oggi dalla Commissione europea.

La corruzione continua a costituire un problema per l’Europa. È un fenomeno che interessa tutti gli Stati membri e che costa all’economia europea circa 120 miliardi di euro all’anno. Malgrado le molte misure prese negli ultimi anni dagli Stati membri, i risultati sono disomogenei e occorre fare di più a livello di prevenzione e repressione.

Dalla relazione emerge che la natura e il livello di corruzione e l’efficacia delle misure adottate per contrastarla variano da uno Stato membro all’altro e che la corruzione merita maggiore attenzione in tutti gli Stati membri.

Queste conclusioni sono confermate dai risultati di un sondaggio Eurobarometro sull’opinione degli europei riguardo alla corruzione, pubblicato oggi. Dal sondaggio risulta che secondo tre quarti degli europei (76%) la corruzione è un fenomeno dilagante e che per più della metà degli europei (56%) il livello di corruzione nel proprio paese è aumentato negli ultimi tre anni. Un europeo su dodici (8%) afferma di essere stato oggetto o testimone di casi di corruzione nel corso dell’anno precedente.

L’efficacia dell’azione delle forze dell’ordine e della magistratura nelle indagini sui casi di corruzione varia considerevolmente all’interno dell’UE. In alcuni Stati membri si possono constatare ottimi risultati. In altri invece le azioni penali che vanno a buon fine sono poche, oppure le indagini sono lente.

Nella maggior parte degli Stati membri mancano statistiche complete sui reati di corruzione, il che complica il confronto e la valutazione. In alcuni Stati membri il perseguimento dei casi di corruzione è ostacolato dalle norme procedurali, comprese quelle sulla revoca delle immunità parlamentari.

• L’integrità dei politici rimane un problema in molti Stati membri. Ad esempio, i codici di comportamento all’interno dei partiti politici o delle assemblee elette a livello centrale o locale sono inadeguati e spesso sono privi della forza necessaria.

• Sebbene molti Stati membri si siano dotati di norme più rigorose in materia di finanziamento ai partiti, permangono notevoli carenze. Raramente nell’UE sono inflitte sanzioni dissuasive contro il finanziamento illecito ai partiti.

• Negli Stati membri il rischio di corruzione è generalmente più elevato a livello regionale e locale, dove i sistemi di controllo e contrappeso e i controlli interni tendono a essere più deboli di quelli a livello centrale.

• Sviluppo urbano, edilizia e assistenza sanitaria sono settori vulnerabili alla corruzione in vari Stati membri.

• Sussistono alcune lacune per quanto riguarda la vigilanza sulle imprese pubbliche, con la conseguenza che la vulnerabilità di tali imprese aumenta.

• La piccola corruzione resta un problema dilagante solo in pochi Stati membri.

La relazione contiene un capitolo speciale sugli appalti pubblici. Si tratta di un settore molto importante per l’economia dell’UE, poiché circa un quinto del PIL dell’UE è speso ogni anno da enti pubblici per l’acquisto di forniture, lavori e servizi. È inoltre un settore esposto alla corruzione.

In Italia l’adozione, a novembre 2012, della legge anticorruzione segna un importante passo avanti. La nuova normativa rafforza le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici ufficiali e la classe politica e a bilanciare l’onere della lotta al fenomeno, che attualmente ricade quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla magistratura. Gli sforzi profusi dall’Italia sono notevoli ma la corruzione rimane un fenomeno preoccupante. Nella relazione presentata oggi la Commissione europea suggerisce di potenziare il regime di integrità per le cariche pubbliche elettive introducendo codici etici e strumenti di rendicontazione del loro operato. L’Italia dovrebbe anche consolidare lo strumentario giuridico e istituzionale sul finanziamento ai partiti e risolvere con la massima urgenza le carenze del regime di prescrizione. La Commissione consiglia anche di estendere i poteri e di sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione in modo che possa reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire maggiore trasparenza degli appalti pubblici e adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato.

Dai rapporti del GRECO (Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione) e dell’OCSE si evince che, per quanto il quadro penale sia presente nel suo insieme, le carenze esistenti contribuiscono alla percezione di un clima di quasi impunità e ostacolano l’efficacia dell’azione penale e l’accertamento nel merito dei casi di corruzione.
In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono oggi tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’elevato numero di indagini per casi di corruzione, tanto a livello nazionale che regionale.

Uno studio del 2010 a cura del Center for the Study of Democracy considera il caso italiano tra i più esemplari per capire quanto stretti siano i legami tra criminalità organizzata e corruzione. Secondo lo studio è soprattutto la corruzione diffusa nella sfera sociale, economica e politica a attrarre i gruppi criminali organizzati e non già la criminalità organizzata a causare la corruzione. Secondo i procuratori italiani, i legami tra mafia e corruzione sono tuttora evidenti, anche nelle regioni non originarie dei gruppi criminali organizzati.

Negli ultimi anni sono state portate all’attenzione del pubblico numerose indagini per presunti casi di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali indebiti, che hanno visto coinvolte personalità politiche di spicco e titolari di cariche elettive a livello regionale. Questi scandali hanno portato a una serie di dimissioni, alle elezioni regionali anticipate in un caso, e hanno spinto il governo a sciogliere alcuni consigli comunali per presunte infiltrazioni mafiose.

Soltanto nel 2012 sono scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici regionali in circa la metà delle 20 regioni italiane. In applicazione della legge n. 221/1991 sono stati sciolti in Italia 201 consigli municipali, di cui 28 dal 2010 (per lo più nel meridione, ma anche nelle regioni del nord) per presunte infiltrazioni criminali. In alcune situazioni i reati contestati sono caduti in prescrizione prima della conclusione del processo.

Negli ultimi anni una serie di casi di corruzione ha portato alle dimissioni di leader e alte cariche di partito. Molti di questi riguardavano il presunto uso illecito dei fondi del partito. Più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati o sono attualmente indagati per reati collegati alla corruzione o per finanziamento illecito ai partiti: in alcuni casi le indagini o i procedimenti giudiziari sono ancora in corso, mentre in altri è stata emessa una condanna di primo grado. Alcuni processi si sono estinti per prescrizione o perché il reato è stato depenalizzato. A volte la prescrizione è subentrata prima che i giudici potessero giungere a una sentenza definitiva.

È degno di nota il caso di un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi: il clan ne avrebbe finanziato la campagna elettorale in cambio di influenze politiche a livello nazionale, soprattutto per il riciclaggio di rifiuti tossici.

Il parlamento ha rifiutato ben due volte l’autorizzazione a procedere nei sui confronti, impedendone la carcerazione preventiva. Durante la campagna per le elezioni legislative del 2013, una petizione ha raccolto oltre 150 000 firme di cittadini e 878 firme di candidati che si sono impegnati a rendere più efficace la nuova legge anticorruzione.

I tentativi di definire un quadro giuridico in grado di garantire l’efficacia dei processi e la loro conclusione nei casi complessi sono stati più volte ostacolati. In diverse occasioni il parlamento ha approvato o ha tentato di far passare leggi ad personam a favore di politici imputati in procedimenti penali, anche per reati di corruzione. Ne è un esempio il progetto di legge sulla “prescrizione breve” che comportava l’elevato rischio di vedere estinguere i procedimenti a carico di indagati incensurati.

Un altro esempio è il “lodo Alfano” che imponeva, per le quattro più alte cariche dello Stato, la sospensione dei processi relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione e dei processi penali in corso. La legge è stata poi dichiarata incostituzionale.

Un ulteriore esempio è la legge del 2010 sul “legittimo impedimento” a comparire in udienza per il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri della Repubblica italiana, anch’essa dichiarata incostituzionale31. Altri esempi consistono nella depenalizzazione nel 2002 di determinati reati, come alcune forme di falso in bilancio.

La nuova legge anticorruzione e il successivo decreto legislativo sull’incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a livello centrale e regionale in seguito a condanne definitive per reati di corruzione o altri reati contro la pubblica amministrazione, adottato dal governo alla fine del 2012, segnano un importante passo avanti.

l decreto prevede termini di incandidabilità due volte più lunghi della corrispondente sanzione e comunque non inferiori a sei anni. Nei primi mesi del 2013 il governo ha inoltre adottato un decreto legislativo sull’inconferibilità e l’incompatibilità (temporanee o permanenti, a seconda del tipo di sanzione) di incarichi presso le pubbliche amministrazioni in seguito a condanne definitive o non definitive per i reati contro la pubblica amministrazione, compresa la corruzione.

La norma sull’ineleggibilità introdotta dalla legge anticorruzione ha già trovato applicazione nel caso della decadenza da senatore di un ex presidente del Consiglio condannato per evasione fiscale e della sospensione dall’incarico decretata nei confronti di un presidente di provincia condannato per abuso d’ufficio. Per i parlamentari l’applicazione di queste disposizioni legislative è soggetta al voto della camera di appartenenza che deve pronunciarsi sulla decadenza dal mandato a seguito della condanna definitiva.

A parte queste disposizioni non esistono codici di comportamento per le cariche elettive a livello centrale o regionale. Quanto al conflitto di interesse, non sono in essere specifici dispositivi di verifica. L’introduzione di codici di comportamento per le cariche elettive, insieme a disposizioni regolamentari sulle sanzioni applicabili in caso di violazione, permetterebbe di innalzare gli standard di integrità e responsabilità e di prevedere sanzioni non penali per una più ampia gamma di comportamenti non etici dannosi per l’interesse pubblico.

Un tale accorgimento permetterebbe inoltre un’attuazione più efficace delle norme di integrità tramite soluzioni autoregolamentari, data la specificità delle sanzioni non penali applicabili ai titolari di cariche elettive rispetto ad altri incarichi pubblici (cariche di governo, pubblici ufficiali ecc.).



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