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30/01/2014 06:50:00

"Trattativa", parla Natoli: "Tra Borsellino e Mancino incontro informale"

  "Poco dopo le stragi del '92, si respirava un'aria molto tesa alla Procura di Palermo". Lo ha detto Gioacchino Natoli, oggi presidente del Tribunale di Marsala, all'epoca sostituto procuratore a Palermo, che deponendo a Caltanissetta nel processo "Borsellino quater" ha tra le altre cose confermato – come riporta l’Agi - che due settimane prima di essere ucciso nell'attentato di via D'Amelio, il giudice Borsellino presenziò all'insediamento di Nicola Mancino al Viminale e col neo ministro dell'Interno ebbe "una stretta di mano assolutamente informale".

Questo breve incontro di Borsellino con Mancino è uno dei punti controversi del processo per la trattativa Stato-mafia, in corso a Palermo. "Gaspare Mutolo aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia ma intendeva rendere dichiarazioni solo a Paolo Borsellino tuttavia l'allora procuratore Giammanco non voleva affidare la gestione del boss proprio a Borsellino. Avrebbero dovuto occuparsene Aliquò, Lo Forte e Pignatone", ha riferito il magistrato e ha ricordato che "Mutolo nel dicembre del 91 aveva avuto già dei contatti con Giovanni Falcone. Il primo interrogatorio di Mutolo risale al luglio 92 e venne condotto da Borsellino e da Vittorio Aliquò".

 Natoli ha anche confermato che il "2 luglio del 92, Borsellino fu costretto ad interrompere l'interrogatorio di Mutolo perché doveva recarsi a Roma per l'insediamento del ministro degli Interni, Nicola Mancino. Mentre era seduto in un salottino, apparvero Bruno Contrada e l'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi. Nell'allontanarsi Contrada gli disse che sapeva che lui si stava occupando di Mutolo e che avendolo ascoltato in passato, di qualsiasi cosa avesse bisogno, poteva rivolgersi a lui". Un episodio che, ha detto Natoli, "Borsellino raccontò in maniera adirata" sia a lui stesso Natoli sia ad altri colleghi perché la collaborazione di Mutolo era appena iniziata e c'era ancora il massimo riserbo.

 "La stretta di mano poi, con il ministro fu assolutamente informale", ha affermato Natoli. Contrada, ex numero tre del Sisde poi condannato per concorso in associazione mafiosa, secondo Natoli non godeva di una buona fama e Falcone aveva invitato gli altri magistrati ad essere prudenti nei loro contatti con lui. "Mutolo, in un interrogatorio - ha spiegato Natoli - a me e a Guido Lo Forte, fece i nomi di Bruno Contrada e Mimmo Signorino (magistrato di Palermo che si suicidò poco dopo quelle rivelazioni, ndr) ma in realtà li aveva già fatti alla presenza di Borsellino". Il teste ha ricostruito anche che a proposito invece del rapporto su mafia e appalti, Borsellino, dopo la strage di Capaci, aveva fissato un appuntamento con alcuni ufficiali del Ros perché doveva ritirare il relativo dossier.
 "Alla Procura di Palermo -ha dichiarato Natoli- ritengo fosse arrivata una copia del rapporto, epurato di centinaia di intercettazioni. A Catania arrivò invece una copia più ampia alla quale erano allegate delle intercettazioni che contenevano delle responsabilità di tipo politico che a Palermo non furono consegnate. A Borsellino quel rapporto interessava per capire quale potesse essere stata la genesi della strage di Capaci".

Sulla testimonianza di Natoli è interessante riportare un breve articolo di ieri de Il Foglio, nella rubrica "Bordin Line" di Massimo Bordin:

“Il giorno del suo insediamento al Viminale la stretta di mano che il ministro scambiò con Paolo Borsellino fu assolutamente informale”. Un contatto fugace, insomma. Per il ministro, una stretta di mano in mezzo a tante altre. Così ieri Gioacchino Natoli, allora sostituto procuratore palermitano, ha raccontato ai giudici del nuovo processo sulla strage di Via D’Amelio. Un episodio comunque insignificante. Altro fu quello che colpì, a torto o a ragione, Borsellino in quella occasione a detta di Natoli: un incontro con Bruno Contrada.
In ogni caso la vicenda non riguarda il processo sulla trattativa, che vede Mancino imputato di falsa testimonianza. Eppure l’ingresso dell’ex ministro dell’Interno nel tritacarne dell’inchiesta si deve proprio a quel pomeriggio al Viminale, quando un pentito parlò del suo incontro con Borsellino e lui non ricordò la stretta di mano fra le tante. Era allora vicepresidente del Csm. Palazzo dei Marescialli fu letteralmente incartato da manifesti dei giovani di An, allora guidati dal futuro ministro Giorgia Meloni, che recitavano: “Meglio un giorno da Borsellino che una vita da Mancino”. Il fratello del giudice ucciso sostenne che Borsellino in un colloquio col ministro quel giorno aveva scoperto la trama trattativista e per questo era stato ucciso. Fioccarono articoli e programmi di Santoro sull’incontro negato contro ogni evidenza. E molti sono ancora convinti che sia per questo episodio che Mancino si trova imputato. Ma non è così. Del suo capo di imputazione e di come ci si è arrivati, domani.