Perciò, rialzate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti; fate sentieri diritti per i vostri passi, affinché quel che è zoppo non esca fuori di strada, ma piuttosto guarisca. Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore; vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati. (Ebrei 12, 12-15)
Prima di approfondire il testo che ci viene proposto per la nostra meditazione, cerchiamo di conoscere qualcosa della Lettera agli Ebrei. Nelle nostre bibbie la troviamo subito dopo le lettere di Paolo, e per lungo tempo è stata attribuita proprio a lui.
Ma ora gli studiosi concordano sulla improponibilità di questa soluzione, e ciò per una serie di diversità stilistiche e anche di vocabolario che non si ritrovano nelle lettere paoline. L’autore cita spesso la versione dei LXX, mentre Paolo la cita in modo approssimativo, dimostrando di rifarsi direttamente ai testi ebraici. Comunque il contenuto di questa lettera risente del pensiero di Paolo, e quindi si ipotizza come autore qualcuno della sua cerchia,Barnaba, Apollo, Luca, o Sila. L’autore conosce molto bene Timoteo, che risulta trattenuto, forse per malattia o forse in prigione.
La grande maggioranza pensa che la lettera sia stata indirizzata a ebrei cristiani, adducendo che solo essi erano in grado di capire adeguatamente i riferimenti al culto mosaico, e quindi si pensa a una comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, come destinataria della lettera, in quanto vi erano presenti da tempo delle sinagoghe dove si leggeva la Septuaginta. Ma è opportuno considerare il fatto che la nostra lettera cerca anche di spiegare usi e credenze ebraiche, come se i destinatari non fossero capaci di decodificarne i simboli, e allora sembra più ragionevole pensare a una comunità cristiana, dove convivevano credenti di origine ebraica e credenti di altra origine. Ma personalmente penso anche al rimprovero che Paolo rivolge ai Corinzi, quello di farsi abbindolare da altri ‘apostoli’ che predicano un vangelo diverso dal suo, da sovrapporre alle leggi e all’etica del Vecchio Testamento. Erano in giro fra le comunità fondate da Paolo questi predicatori che intendevano ristabilire il culto mosaico fra i nuovi convertiti, preoccupazione che anima l’autore della ‘Lettera agli Ebrei’. E che sia veramente una lettera lo possiamo capire dal fatto che l’autore chiama ‘fratelli’ e ‘carissimi’ i suoi destinatari.
Mi salta subito agli occhi, scorrendo questa lettera, la prima opposizione che l’autore mette in campo: Dio finora ha parlato in diversi modi, attraverso profeti, sogni, visioni, ma ora ci parla attraverso suo Figlio, venuto come uomo fra noi. In Lui si raggiunge il vertice della comunicazione di Dio. La strada è tracciata, è come se i profeti prima di Gesù avessero tracciato solo una segnaletica, ma ora che il Messia è venuto bisogna riferirsi a Lui. Anche come grandezza e sovranità ci viene rivelato che tutto è stato creato attraverso il Logos, di cui Gesù è l’incarnazione. Viene scalfita la teoria degli angeli, ritenuti da qualcuno artefici e mediatori con lo stesso Dio, Gesù Cristo viene dichiarato di gran lunga superiore a qualsiasi realtà angelica. E di sacerdoti non c’è più alcun bisogno, il Sommo Sacerdote ora è Gesù, che ha offerto un unico sacrificio al Padre, e posto alla sua destra nella gloria della resurrezione.
Fatta questa premessa, necessaria per inquadrare lo scopo della nostra Lettera, vediamo cosa dice il testo che abbiamo letto per la nostra meditazione: rialzate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti.
Ci troviamo di fronte a un imperativo, si tratta di una bella esortazione.
Mani cadenti e ginocchia vacillanti sono quasi la fotografia di un anziano che non riesce più ad essere autonomo. Un anziano che non riesce a usare le sue mani per nutrirsi, che non può contare sulle sue gambe per camminare. Ma qui si tratta evidentemente di una bella metafora. L’autore esorta, ma vuole anche riprendere la comunità a cui scrive. E’ come se dicesse: non riuscite più a toccare la realtà, vi sfugge qualcosa, vi fate portare, come se non riusciste più a camminare con i vostri piedi, vi fate condurre dove vogliono gli altri, avete mani e avete piedi, ma come atrofizzati.
La vostra malattia si chiama indolenza, pigrizia spirituale, nel senso che vi fidate degli altri, rinunziando alla vostra capacità di critica, di ricerca, di cammino.
Portare il vangelo agli altri è una bella missione, ma bisogna guardarsi dalla tentazione del plagio psicologico, annunziare il vangelo significa accendere un fuoco nell’animo dell’uomo o della donna che ci sta davanti, significa suscitare interesse per i problemi fondamentali della nostra esistenza, significa liberarsi e liberare dal fascino di ogni autoritarismo, che rende atrofici, mera passività in preda a ogni vento di dottrine e a ogni forma di sudditanza religiosa. Ricordiamoci che Gesù di Nazareth ha sempre operato in questa prospettiva, ha sempre trasformato le sue relazioni e i suoi incontri in opportunità di liberazione, liberazione dalla morte, dalla solitudine, dalla discriminazione. Vi invito a rileggere i nostri vangeli in questa prospettiva, Gesù non ha mai avuto mani cadenti né ginocchia vacillanti.
Se uno zoppo cammina su una strada scoscesa e storta peggiorerà la sua situazione, per questo la successiva metafora del nostro testo in esame riguarda proprio questo rischio: fate sentieri diritti per i vostri passi, affinché quel che è zoppo non esca fuori di strada, ma piuttosto guarisca. Cioè, percorrete sentieri ben tracciati, che vi conducano nella vita senza incertezza, affrontate i dubbi della vostra ricerca spirituale senza deviare su strade che non portano da nessuna parte, seguite la strada della fede che avete cominciato a percorrere, non fatevi deviare, cercate la guarigione delle vostre ginocchia e smettete di zoppicare.
A questo punto sentiamoci destinatari di questa lettera, come se fosse Lettera ai Marsalesi, e chiediamoci come rispondere a questi inviti del nostro mittente.
Che possiamo dire delle nostre mani? E delle nostre ginocchia? Riferendomi a me stesso vi confesso che le mie ginocchia spesso fanno brutti scherzi, è come se si atrofizzassero, e penso che con l’avanzare del tempo le cose non miglioreranno. Ma qui ci si riferisce ad altre ginocchia, come avrete bene inteso, le ginocchia del nostro pensiero, della nostra fede, del nostro discepolato. Come stanno queste ginocchia? E che strada percorriamo nella nostra fede? Ci contentiamo del già detto, ci contentiamo di letture sommarie, ci contentiamo del messaggio domenicale? O, piuttosto, la nostra fede ci rende operosi e sempre alla ricerca del giusto rapporto col nostro prossimo, con la natura, con Dio?
La fede è sempre ricerca, è sempre cammino, non è possibile cristallizzarla in formule vuote. Il Credo che recitiamo insieme non è la nostra fede, ma l’esposizione chiara delle verità che emergono dalle sacre scritture, la base cristiana da dove cominciare per la nostra ricerca personale, per il nostro cammino spirituale. La fede consiste in un rapporto personale tra noi e Dio, la mia relazione con Dio è solo mia. La vostra relazione con Dio è solo personale. Per questo non esiste una confezione universale che vada bene per tutti. Anche per una camicia, sappiamo bene come la misura varia da individuo a individuo. E se questo è relativismo, va bene lo stesso.
Al raggiungimento di una certa età, almeno finora, si smette di lavorare e ci si gode la meritata pensione. Ma nel campo del nostro discepolato non si va in pensione!
Anzi, con l’avanzare dell’età, avanza anche la nostra responsabilità di testimonianza. Io penso che la nostra piccola comunità rende bene la sua testimonianza di fede. Ma vedo che tanti fratelli e tante sorelle ora non si trovano con noi a rendere il culto di lode a Dio, in tanti hanno preferito ritornare al grande gregge, dove è facile mimetizzarsi, sfuggendo alle critiche sciocche di chi si meraviglia della nostra costanza e del nostro esiguo numero. E’ veramente difficile vivere come minoranza nel contesto della nostra città. Quanto coraggio è richiesto ai nostri studenti, spesso emarginati e additati come eretici! Siamo in pochi, ma reggiamo bene con le nostre mani il fuoco ‘olimpico’ della fede, camminiamo diritti sulla strada della pace, alla ricerca della grazia che il Signore ci concede. E allora, cari fratelli e care sorelle, disboschiamo il nostro cuore e la nostra intelligenza dalla gramigna della tentazione, tagliamo le radici del male, affrontiamo anche i momenti del dolore e del pianto con la forza che ci proviene solo dalla nostra costante relazione con Dio. Amen.
Franco D'Amico - 19 gennaio 2014 - da www.chiesavaldesetrapani.com