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08/01/2014 15:27:00

Bruno Canova. “Non ho più visto una farfalla”

 Nel Casino dei Principi di Villa Torlonia, a Roma, sulla via Nomentana, è possibile visitare fino al 26 Gennaio 2013 L’arte della guerra, mostra dell’artista Bruno Canova, esponente della Scuola romana, ex partigiano, prigioniero in Germania nel 1944. 

Le opere esposte, prodotte in gran parte dall’artista fra gli anni Sessanta e Settanta, rappresentano un racconto intimo, dalla risonanza corale, parimenti lirica e vigorosa, determinato lucidamente ad imprimere nella memoria visiva ed emotiva degli umani un’eco tagliente degli eventi recenti della storia.
L’arte della guerra di Canova anticipa lucidamente lo storytelling odierno, proiettato a tessere, come un tartan d’elezione, fili divergenti di narrazione dell’esistenza attraverso immaginario, immaginazione e vita vissuta.
La teoria dell’opera artistica di Canova procede nelle sale del Casino dei Principi di Villa Torlonia come un antico bulino del niello: scava fino al cuore della materia e degli eventi e campisce gli spazi creatisi di metallo lucente e di bagliori vitali.
È interessante menzionare, ad esempio, la presenza di una sequenza perfetta di disegni narranti orrori disgregati di un’umanità che ha perso la sua pietas nei non-luoghi dell’internato dei campi di concentramento: elmi di armature accostati a maschere antigas e corpi pendenti accanto a fili spinati e fumi.
Anni orsono, lo stesso Leonardo si cimentava nel disegno di macchine da guerra e condannati, e Canova, con grande rigore, nel XX secolo si trova, ancora una volta per l’umanità, a sottolineare brutalità e decadimento che restano, a distanza secolare, invariabilmente, terreno di scenari di vita raccapriccianti. Leonardo indagava la natura umana fino a declinarne i suoi più drammatici frutti; Canova registra con la mano e con l’occhio perché la materia resti persistente nella carne: non vuole conoscere Canova, Canova amaramente sa.
Non può sfuggirci in questo frangente il ricordo di Goya, dei Disastri della guerra, tavole nelle quali ferocia, violenza e sopraffazione sembrano essere denominatore unico e Canova ha un occhio nobile e rispettoso verso l’arte che lo ha preceduto; al pari del grande artista visionario spagnolo, Canova richiede, dunque, implacabilmente, all’osservatore dedizione alla vita, alla storia, alla cura della memoria.
C’è poi un Canova classicista che spinge fino a far vibrare momenti di autentica poesia sulla materia: il bassorilievo La strage degli innocenti, ad esempio, del 1990, in pasta acrilica su legno, che raccoglie il filamento umbratile della memoria dei tagli espressionistici nella pietra della Colonna di Marco Aurelio ed enfatizza e monumentalizza gli ultimi bagliori dell’incanto dell’esistenza pura e senza filtri degli infanti, violata dall’insania fino ad essere deturpata.
Un ultimo appello alla storia è dettato da pochi versi presenti nell’opera Terezin del 1972.
La tavola, che appare ai nostri occhi come strappata da uno stralcio pompeiano, un piccolo omaggio all’arte compendiaria, recita fra la pittura queste parole:
“Non ho più visto una farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima
Le farfalle non vivono più qui
nel ghetto”.
Canova sintetizza così la sua visione più autentica dell’arte: un luogo dove vita e farfalle sono destinate ad unirsi.

Francesca Pellegrino



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