Una volta all’anno, fra tutti i cristiani, arriva il momento del BAMBINO. Un BAMBINO strano, figlio di genitori ancora più strani. Eh sì, strani, questi Miriam e Joseph ( che da ora in poi chiameremo con i nomi di Maria e Giuseppe). Maria sapeva benissimo di aver partorito come tutte le altre donne diventate madri, ma sapeva anche che quel figlio non era soltanto umano. Impossibile!
Non s’era mai sentito, eccetto che nelle favole che vanno raccontando i greci. Come quella volta che un forestiero si fermò nella bottega del padre.
Da dietro la tenda ella aveva ascoltato la favola della bella Danae che aveva avuto un figlio da un dio venuto a lei come una nuvola di polvere d’oro. Che sciocchezze che raccontavano gli stranieri. Sì, quella era una delle tante invenzioni degli altri popoli che vivevano attorno a quel mare che i Romani chiamavano “Nostrum” e che lei aveva visto una sola volta da bambina.
Ma ora lei sapeva. E non era dentro la favola dello straniero. Era dentro la propria vita, vita di carne e sangue, e quest’uomo accanto a lei era suo marito, ma non era il padre di quel bambino. Nato senza seme dal maschio. Se non ci fosse stato quel messaggero divino, sarebbe impazzita. Giuseppe, tra una realtà che gli diceva “questa Maria ha commesso adulterio” e il sogno che gli ripeteva la confessione della sua promessa sposa, aveva scelto senza esitazione il sogno. Egli sentiva che la realtà, quella vera, era dentro quel sogno e non nelle regole della Legge.
Sapevano benissimo che quel figlio, quel Yeshua’ partorito da appena quaranta giorni e che presentavano al tempio era inconcepibile ( ma lei l’aveva concepito!). Eppure, ascoltando il vecchio Simeone che, prendendo fra le braccia il piccolo Yeshua’ e cullandolo, esclamava “o Signore, puoi lasciarmi ora morire, ora che i miei occhi hanno visto la tua salvezza…” essi – Maria e Giuseppe - “restavano meravigliati della cose che si dicevano di lui”. Perché si meravigliavano? Se quella era la nascita - ed essi ne erano pienamente consapevoli – è incomprensibile la loro meraviglia.
Sì, sono una coppia strana. Dodici anni dopo, andati a Gerusalemme per la Pasqua, non si accorgono che il ragazzetto Yeshua’ è rimasto in città quando la loro carovana si è avviata per il ritorno. Lo ritrovano dopo quattro giorni a far sfoggio di arguzia e sapienza fra i maestri del tempio. Maria lo rimprovera. Dinanzi alle parole, alquanto dure, del ragazzo che risponde “ perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio? “ hanno una reazione imprevedibile, secondo quanto racconta l’evangelista Luca. Nel versetto 50 di questo capitolo due Luca continua così il suo racconto: “ Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro”. Ecco la loro stranezza: non capiscono. Ma come? Sono gli unici – soprattutto Maria – che non dovrebbero stupirsi. Lo sanno che non è nato come tutti gli altri.
Questo fatto che i genitori si meraviglino dell’eccezionalità del figlio nato in maniera del tutto eccezionale, genera in me un grande sconcerto. Cercando di capire, mi vien da pensare che sia loro successo qualcosa che oggi vediamo accadere in certi film o racconti di fantascienza: un intervento speciale fa calare come un velo d’oblio; ed essi trattano quel bambino come un bambino normale e non l’ospite misterioso che i racconti di Matteo e Luca vogliono mostrarci. Hanno dimenticato ( o, comunque, si comportano come se l’avessero dimenticato) che Maria l’ha concepito “senza conoscere uomo”.
Ho cominciato dicendo che sono “strani” i genitori e “strano” il bambino. Sulla “stranezza” dei genitori non riesco ad aver dubbi. Invece comincio a ricredermi sulla “stranezza” del bambino e poi ragazzetto Yeshua’. In realtà, per quel pochissimo che ci raccontano i vangeli canonici, si comporta come i ragazzi intelligenti, vivaci e con spirito di indipendenza, cioè quasi tutti. Anche il fatto che dice di sentirsi “ nella casa del Padre mio” non doveva essere una espressione strana, inusuale per un ebreo osservante. Anche quando comincia l’attività pubblica della predicazione profetica, non si distingue poi tanto dagli altri profeti e da quel suo parente, Giovanni detto il battista. E come molti profeti e lo stesso Giovanni, muore ammazzato dal POTERE. Anche questo è, purtroppo, normale, a quei tempi. Ai nostri tempi il POTERE non li ammazza più i profeti ( o quelli che sembrano profeti), non può permettersi di essere così sfacciato, si limita a lasciare che altri li ammazzino, come per esempio – per ricordare qualche nome – nel caso di Ghandi, di Martin Luther King, di Paolo Borsellino.
E - visto che il racconto evangelico non possiamo mai lasciarlo relegato nel suo tempo di duemila anni fa, ma ci trascina sempre ad un confronto con la vita che stiamo vivendo, oggi e qui - torniamo al BAMBINO.
Gli evangelisti Matteo e Luca, a differenza degli altri due, sentono la necessità di non limitarsi al Gesù adulto, alla vicenda della sua predicazione morte e resurrezione. No. Occorre, a loro parere. mostrare pienamente la piena umanità di quel loro maestro; ed anche la sua piena ebraicità. Gesù è uno di loro, di quel popolo ebreo oppresso in quei tempi dal dominio dell’Impero romano. E’ nato come tutti i bambini nascono, inerme, debolissimo, totalmente affidato al nutrimento della madre, alle braccia che lo fasciano. E come tutti i bambini ha bisogno di cure, protezione, di essere difeso dai pericoli, essere istruito ed educato. Parlare della sua infanzia è come dire che se scegliamo di seguire Gesù non possiamo dimenticare il bambino che è stato, come ognuno di noi.
Nella predicazione di Gesù i bambini ritornano continuamente, guardati, chiamati, accolti da Gesù sempre con estremo rispetto e affetto. I bambini sono i totalmente indifesi, più ancora dei poveri e delle donne, e Gesù dice espressamente che gli ultimi saranno i primi e che chi accoglie un bambino è come se accogliesse lui.
Come siamo ipocriti noi cristiani, tutti, protestanti cattolici eccetera. Proclamiamo i nostri “valori cristiani", sosteniamo che queste società europee, di cui l’Italia fa parte, hanno la maggioranza delle popolazioni cristiane e poi trascuriamo decisamente i bambini, se non i nostri certamente quelli che arrivano nelle nostre terre come immigrati, profughi, fuggiaschi. Li trattiamo come se non avessero diritti o i loro diritti fossero meno consistenti dei nostri. Questa nostra Italia, governata da noi, nega diritti fondamentali come la cittadinanza ai bambini di origini straniere, anche se ha firmato, come tutti gli altri Paesi, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, in cui si afferma “il fanciullo ha diritto, sin dalla nascita, a un nome e una nazionalità”. Ma noi manteniamo leggi che negano questo principio. Ma anche i bambini “nostri”, italiani, abbiamo sempre tenuto all’ultimo posto e le nostre leggi li trascurano, non aiutano le mamme in difficoltà. Governata per 45 anni consecutivi da un partito che si autodefiniva cattolico, questa Italia non ha mai fatto una vera politica per l’infanzia. E’ come se all’invito evangelico “lasciate che i bambini vengano a me” , la società italiana avesse sostituito quest’altro: “Che i bambini si arrangino”. E, per favore, non prendiamocela, come è ormai di moda, con i politici e i partiti. Se questi si sono comportati così è perché i cittadini che li votavano – e li votano - non trovavano – e non trovano - in ciò nulla di scandaloso. Nessuno si indignava. Secondo voi, Gesù sarebbe indignato?
Giovanni Lombardo 29 dic 2013 - da www.chiesavaldesetrapani.com
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