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19/12/2013 11:12:00

Palazzo Venezia ospita, dal 29 novembre 2013 al 2 marzo 2014, la prima mostra monografica

 Palazzo Venezia ospita, dal 29 novembre 2013 al 2 marzo 2014, la prima mostra monografica del maestro secentesco Carlo Saraceni, detto Veneziano, dal titolo Carlo Saraceni. Un Veneziano tra Roma e l’Europa.
Dopo circa due anni di studi e pianificazione, vengono per la prima volta raccolte, con prestiti nazionali e internazionali – Venere e Marte provengono dalla collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Paradiso dal Metropolitan Museum of Art di New York – le opere di questo pittore di nascita veneziana (1579/1620) che trascorse a Roma gli anni più intensi della sua carriera.
Giunse nella capitale intorno al 1598, un periodo di grande fervore per le arti dovuto alla prossimità con l’anno santo del 1600. Testimonianze storiche dell’epoca raccontano, infatti, che proprio in quegli anni la città divenne la capitale artistica dell’Europa, sia per tradizione consolidata, che per la presenza di migliaia tra pittori e scultori. Saraceni rimase in città per una ventina d’anni lasciando opere ammirevoli. Si pensi agli affreschi della Sala Regia del palazzo del Quirinale. Divenne ben presto il migliore seguace di Caravaggio, di cui ammirò le opere e lo stile di vita
Nelle tele del Veneziano è riconoscibile l’elemento principale della pittura caravaggesca: il contrasto luce/ombra. Eppure tutto ciò che in Caravaggio è dramma e potenza, si trasforma nelle opere dell’ammiratore-discepolo in poesia e sentimento. I contrasti sono ammorbiditi. Lo si nota nei soggetti scelti dal Saraceni: vedute agresti, scene mitologiche, atmosfere concilianti. Lo stile del Saraceni contiene, inoltre, influssi nordeuropei come il gusto per i paesaggi e la presenza della natura attorno alle figure. Non uno sperimentatore, dunque, ma un artista con una calibratura classica molto riconoscibile. Capace di rielaborare gli insegnamenti caravaggeschi con un tocco personale, con l’intento di cercare una convergenza tra le diverse scholae di quel tempo, pur mantenendo la sua aderenza alla pittura veneziana.
Ne è esempio l’immagine scelta come icona della mostra: Venere e Marte, databile nei primi anni del ’600 e ispirata all’opera di Orazio. Le figure protagoniste, con coloriti differenti, sono distese su bianche e morbide lenzuola. L’immagine contiene la gamma cromatica tipica della scuola veneziana, nota per il suo tonalismo, ovvero una particolare accensione di colori. Ne risulta una scena morbida quanto languida nella fusione perfetta tra i soggetti e l’ambiente circostante. Marte si denuda anche del suo ruolo, sparpagliando per terra le armi e con esse si divertono dispettosi i putti. Fa da sfondo un antico palazzo impreziosito da statue, stucchi e decorazioni, rimandi a elementi architettonici dell’arte classica.


La splendida pala d’altare del Transito della Vergine (1610 circa) è un esempio di pittura devozionale. Al pittore, infatti, vennero spesso affidati incarichi pubblici e commissionati lavori dalle famiglie più aristocratiche della città (come gli Aldobrandini e i Borghese). La storia di questo capolavoro che si trova a Roma, nella chiesa di Santa Maria della Scala è molto curiosa: inizialmente l’opera era stata affidata al Caravaggio; tuttavia, l’eccessivo realismo della scena e la posizione esangue di Maria (con un braccio abbandonato e i piedi scoperti) furono giudicati dissacranti. Si disse addirittura che la modella era stata una prostituta. Quindi la commissione passò al Saraceni. Anch’egli fece diverse prove e arricchì la prima austera versione della Madonna in atto di preghiera, con i cori angelici, i fiori e gli strumenti musicali che vediamo oggi nella parte superiore del quadro. Inoltre, sullo sfondo, a sinistra della figura centrale, scorgiamo appena due figure in penombra, quasi escluse dalla scena. In esse si può ipotizzare un autoritratto del Veneziano (probabilmente l’uomo che guarda al pubblico) e di un suo aiutante (l’altro con i baffetti). La preziosa Morte della Vergine di Caravaggio, invece, dopo essere stata acquistata dal Duca di Mantova, rivenduta e passata persino da Luigi XIV, si trova oggi al Louvre.


La storia di Giuditta è un tema ricorrente nella pittura caravaggesca e anche Saraceni la ritrasse in diverse tele. In Giuditta con la testa di Oloferne (1615 circa) si ammira uno splendido gioco di luce. È un’opera della maturità, le cui ombre esaltano i personaggi: la protagonista con espressione trionfante, quasi spavalda, domina la scena; la serva incredula e sottomessa si copre la bocca con un lembo del telo in cui rinchiuderanno per sempre la testa del “cattivo”, per metà in ombra.
Una candela illumina il centro del quadro e un’altra fonte di luce si trova a destra, sullo sfondo. Nel dipinto cosiddetto «a lume di notte», Saraceni subì l’influenza del pittore e disegnatore tedesco Adam Elsheimer che in quegli anni si trovava a Roma. Il risultato è di sublime maestria.


La stessa abilità nel creare buio e luce la troviamo nel Diluvio universale (1616).
Una miriade di personaggi si agita in preda alla paura sotto a un cielo intensamente nero e spaventoso, rischiarato qua e là dal bagliore dei lampi. Segni di una terribile tempesta che si sta per abbattere sul creato. In questa notte infernale spicca la vastità scenica. Si passa drammaticamente dal primo piano in luce sulla sinistra – una donna morente con i bambini accanto e l’anziana in preghiera – alla penombra che scende in un secondo piano – disperati su imbarcazioni varie – alle case sulle colline, ancora più in fondo. Elementi simbolici emergono dalla confusione. Non c’è salvezza per chi si attacca alle cose terrene – come gli individui aggrappati a botti di legno e altri oggetti galleggianti. A destra un elegante cavaliere di spalle si distingue appena. Forse l’autore stesso. Quest’olio appare per la prima volta al pubblico, dopo il ritrovamento in un convento di clausura in provincia di Napoli.

 

Il percorso espositivo, curato dalla nota studiosa del ’400 romano Maria Giulia Aurigemma, prosegue e appassiona con circa 70 opere sapientemente sistemate in 8 sale.

Sabrina Sciabica