di Leonardo Agate. La rottura del vecchio comunismo italiano con il tempo successivo non é avvenuta al tempo delle invasioni sovietiche dei paesi satelliti, e nemmeno con la trasformazione nominale del Pci in Pds, Ulivo, Pd. Cambiarono i nomi ma non le persone, e poiché le idee camminano sulle gambe degli uomini, non cambiò la sostanza. Con Matteo Renzi é diverso. Non ha studiato alle Frattocchie. Non ha fatto turismo istruttivo nell'Urss. Ha cominciato da boy scout. Il mondo politico di sinistra, com'era, non l'ha vissuto e forse non lo conosce. Ha l'età in cui si può sognare, e lui lo vuole. Dall'alto del Colle vigila, ma sempre più a stento, l'ultimo comunista, il presidente Giorgio Napolitano. Anche lui é mutato tanto dai tempi in cui era uomo dell'apparato tanto vicino a Togliatti. Altri tempi. Di quelli restano le rievocazioni, e un certo numero di persone che portano in giro idee rinnovate, ma sostanzialmente antiche. Napolitano, che é uno di questi e anzi il massimo, fece il suo trapasso chiedendo scusa per aver aderito alla tesi di Mosca in occasione dell'invasione dell'Ungheria. Ma ha cambiato opinione cinquant'anni dopo, quando il Pci era diventato Pd. Gliene colse bene, ed é diventato presidente della Repubblica. Ma l'imprinting non poteva cambiare. La rottamazione? Per lui é stata una temibile novità. Si sarebbe dovuto continuare con la marcetta progressista. La conquista democratica del potere, l'espansione dell'egemonia culturale d'insegnamento gramsciano, e via di questo passo, verso le sorti luminose e progressive del socialismo.
Renzi ha rotto l'equilibrio instabile che pareva dovesse durare eterno. I figli contro i padri sono un classico della storia individuale e collettiva. Il figlio Renzi ha iniziato a rottamare la vecchia sinistra. Non può farlo con Napolitano, ma lo sta facendo con tutti gli altri. Anche a Napolitano non lascia spazio per aggiustare le cose. Quando tutti mostravano deferenza ubbidiente, gli disse che il presidente può fare proposte di linea politica, ma le decisioni spettano al Parlamento.
Come in quei film sul buon tempo andato, contrapposto al presente becero, i vari Veltroni rievocano Berlinguer e compagni, quando venne posta la questione morale. Loro, gli ex comunisti, dicevano di essere diversi. Più puri. Tangentopoli sembrò dare loro ragione. Ma fu interpretata male. Il malaffare che serpeggiava, inquinava tutta la società italiana, non solo i partiti che furono distrutti dalla magistratura. Se la sinistra comunista non fu travolta, fu per l'occhio strabico dei magistrati inquirenti e per la compattezza dei compagni. Se inquisiti, non si liberarono a valanga dei panni sporchi. Continuarono a tenerli nascosti a Botteghe Oscure. Greganti trasferiva nascostamente soldi dalla Svizzera, ma non chiamò correi. Per lui, Occhetto poteva non sapere. I magistrati gli credettero.
Il film del passato glorioso dei comunisti s'interrompe ora per merito di un giovane che vestiva alla Fonzie e che non ossequia rispettabilità acquisite. La cesura fra il vecchio e il nuovo, sta nel non volere svolgere tesi, ma nell'imporre una mentalità nuova. La forza gliela danno i milioni di voti delle primarie, che hanno relegato a un distante secondo posto Cuperlo, che poteva traghettare gli ultimi resti dell'establishment. Adesso la partita é tutta da giocare per migliorare l'Italia, ma i giocatori sono diversi.