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09/12/2013 12:52:00

La “poesia che se ne va”. Denise/Dioniso di G. Cuttone e G. Lucini

 “Canto dei bambini perduti” (CFR, Piateda, 2013) è l’opera che nasce dopo un fortunato incontro fra Giacomo Cuttone (pittore) e Gianmario Lucini (poeta e anche editore). Un lavoro di interpretazione e montaggio che, sotto l’iniziativa della mano di Lucini, – per l’occasione nelle veste di poeta e regista del montaggio multitestuale –, dà vita ad una singolare poesia come textum complesso e com-posito. Un lavoro eseguibile in scena (teatro), e godibile anche in proiezione audiovisiva. Un misto di: pittura-chino-grafica (7 grafiche in bianco e nero di G. Cuttone); testi poetici (n. 6 di G. Lucini); prologo e sei testi recitativi (di G. Lucini); letture attoriali (Massimo Pastore e Anna Clara Giampino); musiche (scelte da G. Lucini).

L’opera, presenti G. Cuttone, G. Lucini, M. Pastore e A. C. Giampino, sarà presentata (19 dic. ‘013, ore 18-20) da Antonino Contiliano presso i locali del “teatro abusivo” di Massimo Pastore, siti in Via Turati, n. 9 (Marsala).

Il 20 dicembre 2013 (ore 17/17,30, circa), invece, sarà presentata a Mazara del Vallo, presso l’Auditorium del plesso di via Vaccara della Scuola secondaria di I grado “Giuseppe Grassa”. L’iniziativa vede il coinvolgimento sia della Scuola “Giuseppe Grassa”, sia della Fondazione Movimento Bambino e dell’Associazione Maria SS del Paradiso Onlus.

Qualche parola sull’opera.

Non siamo di fronte a un semplice testo di lirica espressa nel linguaggio verbale, e/o tipizzata come poesia “civile”. La lirica di quest’opera, come si legge nell’“Avvertenza” (p. 8), più che appartenere alla poesia del tipo civile è “sociale”: «perché il suo scopo è farsi comunicazione attiva e socializzante, non semplice “fruizione” passiva. L’ascoltatore non è infatti soltanto “spettatore”, ma è chiamato ad esporsi, a dibattere, a intervenire, a produrre senso». E qui sta anche la ragione della scelta del taglio teatrale; e di un teatro che, straniante e politico, non si adegua alle performances di moda: lo vieta l’impegno dei testi visivi e verbali dei due autori e il senso catturato ed espresso nel dipanarsi, piegarsi e s-piegarsi delle loro enunciazioni. Un dettato che, messo in corrispondenza e integrato o completato, semioticamente, con altri codici, ha bisogno di una lettura/ascolto di certo impegno interpretativo- culturale di tipo semiotico.

L’impegno dell’opera è alto: mira a un pensare filosofico. Un pensare che investe, denunciadolo, il destino di violenza del mondo contemporaneo; e soprattutto quello che sacrifica i “bambini perduti” (rubati, straziati, torturati, venduti...mai più ritrovati), ovvero il mondo crudele della civiltà che ha dis-torto “Denise-Dioniso”: la bellezza e l’innocenza della vita sin alla nascita dell’esser-ci (ecco la riflessione dell’arte e della poesia dei testi di Cuttone-Lucini). Una ri-flessione che impegna la filosofia e la filosofia politica del nostro tempo, nonché le ingiuste azioni, come uno specchio orientato. Un prisma ottico che, ri-flettendo le immagini, obbliga a interrogarsi/ti su quale destino a venire può preparare questo presente delle catastrofi permanenti; le catastrofi, soprattutto, procurate dalle deviazioni dell’umano delinquere. Che promessa di futuro altro può valere, si/ci chiedono i due, se non si ripensa al rimpatrio dell’innocenza e della bellezza nella vita e nella storia che vogliamo costruire secondo certi modelli...?

“Denise è poesia che se ne va, / innocenza che si imbotta nel buio, / la bellezza che ci nasconde i suoi significati / e noi siamo qui, nella nostra aridità, disperati / vuoti, a macerare nella nostra nostalgia, / a vivere in un tempo che non può tornare, / perché l’innocenza è da sempre //esiliata dal mondo” (p. 22).

“Questo è l’umano ed io ne sono il simbolo /...// me ne sto acquattata covando una speranza / l’uovo prezioso dell’innocenza //...// Per questo mi sono fatta piccola, sono / dispersa incarnando un rimorso / che possa risvegliare un moto nostalgico / del cuore, per tutto quello che fummo // e domani, forse, / potremmo incarnare.” (Poesia per il senso dell’umano, p. 36).

E l’impegno, alto, allora non è solo di chi è scrittore, poeta, pittore, fotografo, compositore, suonatore, attore, pubblico di lettori o spettatori, etc. L’azione è un’interazione e riguarda tutti e ciascuno! La poesia chiama al “noi” del “potremmo incarnare”. E il teatro, per questo, è il miglior luogo della poesia e dell’arte. Il luogo cioè del “pubblico, il luogo dove ognuno, alla propria maniera, è un’azione e una responsabilità personale e autonoma quanto interdipendente.ì

Unica la rielaborazione poetico-verbale interpretativa di Lucini! Simbiotica la tematica che parte dalle opere chino-grafiche di Giacomo Cuttone! Il poeta, infatti, tra-duce la comunicazione dell’enunciazione semiotica visiva-plastica del pittore e la creolizza; e  la ri-duplica nella comunicazione verbo-grafica del linguaggio verbale (poetico e recitativo) altrettanto semiotico-plastica. Un raddoppio, quasi biunivoca corrispondenza significante, se non fosse per l’energia plastica dei testi (plastica è l’in-formazione dei linguaggi quando dal livello “1” l’in-formazione-significazione passa a livello “2”: il più di senso che è la bellezza del fare artistico-poetico) e della loro testualizzazione.

Il Lucini fa dialogare fra loro, nonostante il linguaggio proprio a ciascuna arte, la percezione, il “percetto” (aesthesis e i valori incorporati) e l’estesia dell’espressione “pittorica” delle chino-grafiche con i corrispettivi del linguaggio verbale. E lo fa sfruttando, appunto, la semiotica plasticità della figurazione delle chino-grafiche di Cuttone come un insieme già formante un blocco semantico interpretabile. Delle “forme” cioè che già sono una con-figurazione compiuta ma aperta. Anziché ricorrere a una singola immagine, o a una parte dell’immagine, o a una funzionalità letta solo in chiave di “rappresentazione”, infatti, c’è spazio per un intervento cooperativo di reinventiva scrittura, scegliendo altri codici simbolico-comunicativi nel taglio di lingua secondaria o artistica. La plasticità semiotica, – che, in genere, è sia dei segni verbali sia di quelli visivi, e materializza l’astrazione della creazione artistica in un contesto storico e culturale proprio –, così funziona da ponte tra i linguaggi e orienta la significazione al senso altro e non escludente. Il campo semantico è, cioè, esposto a letture e riscritture di altri “mondi” possibili.

Astrazione e figurazione, del visivo e del verbale, così, sul terreno della lettura dei testi, nel caso pittorici, si collocano sul terreno di un’immagine (iconizzazione) che, servendosi del principio di somiglianza, dice, e ci dice, la realtà di riferimento semantico: il contesto preso in analisi, quello che travasa da un testo (il visivo) ad un altro (il verbale).

Una potenzialità poietica che, nel caso, si attualizza e realizza grazie alle categorie eidetiche (“spigoloso vs arrotondato, “curvo vs diritto”, “concavo vs convesso”...), topologiche  (l’alto vs il basso, o il profilo delle figure: obliquo, frontale...) e cromatiche (i colori e l’intensità tonale che tratteggiano i volti e i corpi, o i rilievi e le sfrangiature, etc.), offerte ed esposte dalle chino-grafiche di Cuttone. I lavori che iconizzano (non una immagine isolata, o parti isolate, bensì com-posita/e e formante/i un unicum polisemico) il messaggio – quella particolare porzione di visione del  mondo, che ciascuno comunica – come un processo, e somigliante. Un processo di significazione e ipotesi di senso che si incrocia nel comune vedere/sentire, e con una “strategia” di lettura e scrittura che rispecchia e insieme interpreta sia i vuoti sia gli impliciti;  e che Lucini restituisce al “noi”  in quella forma laboratoriale multimediale che è il Canto dei bambini perduti: il dichiarato appello al rispetto della voglia di vivere come vitalità piena. Un deposito – scrive Lucini – di valori che, grazie alla complicità delle chino-grafiche di Cuttone, nel nome, “Denise” è già Dioniso (una forza e un’energia primordiale quanto temporalmente inesausta): innocenza, bellezza, voglia di vita e di vivere l’agàpe, i desideri, i bisogni e l’inter-esse... senza “l’arroganza dei saperi” (Poesia dell’innocenza radiosa, p. 32), o senza le mafie, o “la prepotenza delle leggi (...) / e l’acido pretesto della ragion di Stato” (Poesia per il senso dell’Umano, p. 36).

Il libro (+CD) reca l’introduzione di Giuseppe Panella, il quale prende spunto dal “Recitativo quarto” (p. 25) e dal testo “Poesia del senso dell’addio” che Lucini, a sua volta, ha elaborato interpretando come tre attimi le con-figurazioni delle  chino-grafiche “...che coniano l’effigie /...// il silenzio occhiuto della pietra /... // l’idolo grottesco dello smisurato io /... // un pubblico sogno di civiltà perfetta /...” (p. 27).  

Antonino Contiliano



Cultura | 2024-07-30 14:55:00
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