Da alcuni anni la Tavola Valdese commissiona all’Istituto di sondaggi GfK Eurisko rilevazioni su alcuni aspetti della religiosità nel nostro Paese. Così anche nel 2013 quando è stata realizzata una indagine sulla “conoscenza, la pratica e le convinzioni religiose degli italiani”.
Più cattolici che credenti
Iniziamo dall’autocollocazione religiosa degli italiani che nella misura del 76% si dichiarano “credenti”; gli “atei” e i “non credenti” sono il 15%; gli “agnostici” e coloro che si dichiarano “alla ricerca della fede” sono rispettivamente il 4 e il 5%. Interessante rilevare che, a domanda più specifica, la percentuale di coloro che si dichiarano “cattolici” sale al 79%: più cattolici che credenti, insomma, a conferma di una interpretazione culturale dell’appartenenza confessionale per cui l’adesione alla confessione in Italia maggioritaria non corrisponde necessariamente a una intima convinzione ma è determinata da fattori ambientali, dalla tradizione o semplicemente dal conformismo religioso.
Praticanti versus non praticanti
A partire da questa premessa non stupisce il gap tra “cattolici praticanti” e “non praticanti”; 44% i primi, 35% i secondi a comporre quel 79% degli italiani che si dichiarano cattolici. Ma anche tra i “praticanti”, il 7% risponde di esserlo più per “abitudine e tradizione” che per “convinzione personale”. Gli aderenti ad altre confessioni religiose sono il 5% che, su un totale della popolazione di circa sessanta milioni di persone, significa tre milioni: dato empiricamente confermato da varie ricerche che però non tiene nella dovuta considerazioni gli immigrati.
Poca messa, meno Bibbia, più preghiera
La frequenza di un luogo di culto, non necessariamente una chiesa né una chiesa cattolica, risulta molto frammentata. I “fedelissimi” che partecipano a incontri religiosi tutti giorni o comunque più volte alla settimana sono l’11%; i “fedeli” che si limitano a una partecipazione settimanale salgono al 24%: gli “occasionali” che entrano in un locale di culto solo qualche volta durante l’anno sono il 18%; i “distaccati” che partecipano solo a battesimi, matrimoni e funerali salgono al 27%.
Ancor meno dei “fedelissimi” e dei “fedeli” alle cerimonie religiose (messe, culti, meditazioni, sermoni, adunanze, preghiere…) che in totale costituiscono il 35% del campione, coloro che leggono la Bibbia individualmente: il 29%. Molto posseduta e poco letta, potremmo dire del libro più stampato al mondo.
Decisamente più popolare della frequentazione della messa o di altre funzione religiose, invece, la pratica della preghiera individuale, distinta cioè da quella comunitaria che si svolge nel quadro del culto: pregano “da soli” il 74% degli italiani e il 38% lo fa tutti i giorni o quasi; il 12% “più volte alla settimana”: sommate queste due percentuali danno un 50% secco che costituisce un dato di rilievo. Coloro che pregano si rivolgono a Dio (47%), alla Madonna (31%), a Gesù (21%), ai santi (12%), ai defunti (10%), a un non meglio precisato “altro” (4%).
La semina e il raccolto
Molto alta la percentuale degli italiani che hanno avuto un’educazione religiosa in famiglia o tramite la parrocchia: il 91% del campione, l’89% del quale specificatamente cattolica. Appena più basso il numero di coloro che hanno frequentato l’ora di religione: l’88% per l’intero ciclo scolastico; il 5% solo per qualche anno.
Le opportunità di formazione religiosa non mancano eppure la “raccolta” di questa semina educativa risulta modesta, almeno sul piano delle competenze catechistiche, bibliche e religiose: il 27% del campione ritiene corretto affermare che “I Vangeli e la Bibbia sono la stessa cosa”; il 26% che “la Bibbia è stata scritta da Mosè” e il 20% che la Bibbia è stata scritta da Gesù. Per il 15% degli intervistati, infine, “la Bibbia degli ebrei e quella dei cristiani non hanno niente in comune”. “Chi sono i 4 evangelisti”? Risponde correttamente solo il 30%. E “chi ha dettato i dieci comandamenti”? Dio, certo, ma solo per il 49% perché la metà e più degli italiani si perdono in risposte quali “Mosè” (22%), Gesù (9%) o, semplicemente, non sanno rispondere (18%).
Se queste sono le percentuale degli italiani in generale, vediamo come se la cavano i cattolici rispetto ai credenti di altre confessioni riguardo, ad esempio, alla conoscenza dei dieci comandamenti: tra coloro che sono in grado di citarne, sia pure approssimativamente, più di uno i cattolici praticanti fanno prevedibilmente meglio dei non praticanti (43,2% contro 34,9) ma molto meno bene dei credenti di altre confessioni (60,7%).
Se la Bibbia è poco letta e conosciuto, il Catechismo cattolico risulta ancora più ignoto: soltanto il 17%,2 degli intervistati sa citare le “virtù teologali”, percentuale che sale tra i praticanti (24,7) ma che scende inesorabilmente tra i non praticanti (12,3%).
E le altre religioni? Non va molto meglio. Meno della metà degli italiani (il 41%) sa dire chi ha iniziato la Riforma protestante, solo il 37% sa che la Regina Elisabetta è anglicana e coloro che riconoscono in Primo levi uno scrittore ebreo non superano il 38% del campione.
Il quadro complessivo che emerge da questi dati è complessivamente preoccupante, tanto sul piano religioso che su quello culturale: il deficit di conoscenze sembra farsi sempre più profondo come se si fossero rotte quelle “cinghie di trasmissione” che consentivano di tramandare principi, storie, racconti, dogmi. E’ come se la memoria religiosa degli italiani tendesse a perdersi, e non solo sul piano spirituale ma anche su quello laico della cultura e della tradizione popolare.
Eppure...
Ma questa perdita non si registra in un quadro di secolarizzazione ovvero di relativizzazione della religione e dei valori ad essa connessi. Al contrario. Per il 72% degli italiani, la religione conta “molto” (37%) o “abbastanza” (35%); l’87% ritiene giusto che i propri figli ricevano a scuola un’educazione religiosa confessionale o “perché credono nell’educazione cristiana” (46%) o “perché vogliono che i figli conoscano la tradizione religiosa cattolica” (37%). La quota di coloro pronti a scegliere per i propri figli attività alternative all’insegnamento cattolico non va oltre l’11%. Ma anche qui il dato è contraddittorio perché alla domanda sull’opportunità di insegnare anche altre religioni, il 55% del campione si dice “abbastanza” o “molto” d’accordo”; i contrari più o meno risoluti si fermano invece al 38%. Il dato è in linea con il fatto che il 67% ritiene che gli insegnati di religione “possano essere anche non cattolici con una preparazione adeguata”.
C’è insomma una domanda che però non trova risposte adeguate: sul banco degli imputati la scuola e l’università il cui ruolo rispetto alla formazione sulle religioni soddisfa solo il 25% degli italiani. Poco meglio fanno le testate giornalistiche cartacee (29%) e la televisione (30%): una debacle per le agenzie (in)formative più importanti. Meglio, molto meglio fanno parrocchie e comunità religiose che invece soddisfano la domanda di conoscenza sulle altre religioni nella misura del 43%.
Segnali di un movimento sotterraneo, di un processo poco visibile ma costante di attenzione al nuovo pluralismo religioso che si va strutturando in Italia: il 63% del campione, ad esempio, è favorevole all’apertura delle moschee, dato sorprendentemente alto in un clima culturale e politico freddo se non sospettoso nei confronti del radicamento anche nel nostro paese di centinaia di migliaia di musulmani.
Ma non è questo l’unico dato sorprendete: il 63% degli italiani è favorevole al riconoscimento delle coppie omosessuali, il 74% % al testamento biologico, il 65% all’inseminazione eterologa. Il divorzio tra gli italiani e la religione, quella di maggioranza come le altre, non è affatto consumato. “Religion matters”, la religione conta ancora, direbbero gli americani, e questo emerge anche in Italia. Ma non è quella del tempo antico: una, monolitica, esclusiva, dogmatica, impositiva. Dai dati di questa inchiesta sembra emergere il fatto che gli italiani mantengono un legame con la loro tradizione ma sempre più ideale e meno materiale, più di cuore che di testa, più di forma che di competenza, più di approssimazione che di radicamento. Nel frattempo si guardano attorno e scoprono nuovi universi religiosi ai quali guardano con qualche curiosità e moderato interesse. Senza esagerare, con qualche superficialità e tanta confusione. Come ha scritto un grande sociologo cattolico – Franco Garelli - “all’italiana”.
20 novembre 2013 - Paolo Naso