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04/11/2013 09:23:00

I miracoli: una credenza arcaica?

Interrogarsi sui miracoli significa sondare la nostra concezione del mondo, il ruolo che le scienze e gli scienziati possono svolgere, e la possibile presenza divina nell'universo. Secondo alcuni, noi abitiamo un "mondo disincantato" (1) secondo l'espressione del sociologo tedesco Max Weber. I profeti dell'ebraismo, criticando la magia a favore di una fede rivolta al futuro e alla salvezza, hanno trasmesso all'umanità europea un atteggiamento religioso in cui l'esigenza etica importa più dei giochi di prestigio degli stregoni e dei guaritori. La Chiesa l'ha capito a poco a poco, lei che ora riconosce più la santità dei credenti in funzione delle loro virtù morali che dei loro poteri di maghi o taumaturghi, sempre valorizzati nonostante tutto.

La pittura del Rinascimento, per la sua attenzione alla prospettiva, ci ha anche insegnato a vedere lo spazio e la natura come luoghi geometrizzati dove il divino può essere rappresentato solo se obbedisce alle leggi della natura e dell'umanità. Cristo deve essere dipinto in una grandezza verosimile, come anche la colomba che raffigura lo Spirito Santo (2). E le scienze della natura – che nascono grazie a Galileo, a Cartesio e a molti altri – hanno completato la spiegazione: tutto è sottomesso a delle leggi, tutto è spiegabile, se non di fatto, almeno di diritto. Si apriva un futuro indefinito di progresso delle conoscenze e di lotte contro l'ignoranza, mentre la credenza nei miracoli sarebbe dovuta a poco a poco sparire, in silenzio, con vergogna.
Hume, filosofo illuminista scozzese, eredita questo lungo processo attraverso il quale la nostra visione della natura, dell'umano e di Dio si trasforma. Desideroso di prolungare la fisica di Newton con uno studio minuzioso dell'umano e della sua psicologia, ha fornito, fino ad oggi, il quadro della riflessione sui miracoli (3). Un miracolo si definisce in due tempi. Innanzitutto, è una "violazione delle leggi della natura": se una persona cammina sulle acque, la legge di gravità è violata. Una volta riconosciuto questo punto, bisogna eventualmente aggiungere che tale violazione deve essere prodotta "da una volontà particolare della divinità o dall'intervento di un agente invisibile". Poiché il miracolo non è solo un'eccezione alle leggi della natura, è il segno che Dio vuole che qualche cosa succeda. Se una piuma, invece di cadere, vola via senza che sia il vento a portarla, si tratta di una violazione delle leggi della natura, ma se nessuno se ne accorge, non si manifesta alcun segno divino e il miracolo non ha avuto luogo davvero. Si può pensare che Dio non perde tempo in questo genere di infantilismi.
Per Hume, l'argomento contro l'esistenza dei miracoli procede in due tempi. Il primo momento sottolinea che si deve mettere in conto la credenza ai miracoli con la nostra credenza che il corso della natura è regolare, così come ne facciamo costantemente l'esperienza. La funzione delle  scienze della natura, ma anche della psicologia, è di descrivere nel modo migliore questo corso regolare delle cose e degli esseri umani. Poiché, per definizione, un miracolo è una violazione di tale corso regolare, credere ai miracoli è contrario ad una credenza solidamente ancorata in noi, e per di più perfettamente legittima. C'è dunque una presunzione molto forte contro la possibilità che un miracolo sia effettivamente avvenuto e bisogna essere diffidenti nei confronti di ogni testimonianza relativa ad un preteso miracolo. Il secondo tempo dell'argomento è allora un'inchiesta sulle testimonianze. Sono sufficienti a ribaltare la presunzione critica?
Reincantamento del mondo Testimoniare un miracolo, significa giocare sulla fascinazione per il meraviglioso, sul bisogno di reincantare il mondo. Il sedicente testimone ne trae un prestigio ed un potere facili, poiché solo lui ha visto. Un simile testimone non autentica quindi nulla poiché, in questa situazione, il giudizio critico e la ragione sono messi tra parentesi da un gioco di illusioni e perfino di auto-illusioni.
Contro le testimonianze di miracoli, esiste quindi una presunzione molto forte, fondata sulla nostra esperienza e sulle nostre scienze, nonché una critica della psicologia umana, che ci porta tanto facilmente verso la superstizione. L'attenzione al racconto delle testimonianze è un punto essenziale della riflessione sui miracoli che si trova ad esempio nell'antropologa delle religioni Elisabeth Claverie che ha studiato le apparizioni di Lourdes del 1858. Le apparizioni della Vergine sono riferite da Bernadette, una contadina povera ed emarginata. Che Bernadette sia testimone, le dà un potere che l'autorità ecclesiastica le contesterà. Lei, giovane donna, non deve rompere la catena gerarchica che va dai fedeli a Dio passando obbligatoriamente dalla Chiesa e dagli uomini che la dirigono. Fortunatamente, per assicurare la legittimità della testimonianza della giovane donna, la Vergine parlerà e confermerà il dogma affermato dagli uomini di Chiesa quattro anni prima (1854). "Que soy era immaculada councepciou" ("Io sono l'Immacolata Concezione"). La cosa cade a puntino.

Necessaria demitologizzazione. Di fronte a tali critiche, possono i cristiani rinunciare alla nozione di miracolo, pur dicendosi discepoli di Cristo? Per leggere in questo modo i testi religiosi e le loro testimonianze, si impone un importante lavoro di demitologizzazione, come riteneva necessario il teologo Rudolf Bultmann. I testimoni e le comunità che trasmettono la storia di Cristo hanno caricato le loro testimonianze di rappresentazioni troppo mondane, affascinate dal meraviglioso denunciato da Hume.

L'interpretazione deve rifiutare tale oggettivizzazione, tale riduzione della trascendenza divina ad
eventi magici. La tentazione di trasformare ogni racconto di miracolo in racconto simbolico conserva solo un aspetto della definizione di miracolo. Un miracolo è certo un segno divino, ha valore di simbolo, ma è anche necessariamente una violazione delle leggi naturali. Se si conserva solo l'aspetto simbolico di manifestazione di una intenzione divina, è della Provvidenza divina che si parla, di Dio che agisce nella sua creazione senza infrangere leggi. Non c'è miracolo in questa presenza di Dio. Ora, per i cristiani, c'è almeno la tomba vuota, e un morto che è tornato di tra i morti. "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo". (1Cor 15,14-15). La fede dipende da un miracolo: impossibile credere in Dio, almeno nel quadro cristiano, senza credere che ci sia stato almeno questo miracolo originale.
Bisogna allora tornare sulla strategia critica di Hume. Il dibattito accademico contemporaneo ha messo in luce la debolezza della prima parte della sua argomentazione. Hume afferma che ogni persona illuminata avrà una presunzione contro i miracoli perché questa presenza religiosa è contraddetta da una credenza naturale meglio fondata, la credenza che la natura segue un corso invariabile. Ma, contrariamente a ciò che dice Hume, la testimonianza a proposito di un preteso miracolo non è necessariamente messa a confronto con la sola esperienza della regolarità della natura. La persona che ha la fede sa che Dio può intervenire nel corso della natura per agire e manifestarsi, anche contro le leggi della natura. Il credente accoglierà sicuramente con diffidenza una testimonianza di miracolo ma nessuna presunzione massiccia contro di esso, la sua fede gli fa pensare che dei miracoli sono possibili.
La questione dei miracoli pone quindi ciascuno al centro della propria rappresentazione del mondo. La natura è chiusa su se stessa, senza alcun segno divino? La fede impegna a credere che Dio può intervenire nella natura? Interviene spesso? Interviene almeno una volta? Non interviene mai? Eccoci ricondotti ai dibattiti sulla superstizione, sulla fede e sul razionalismo ateo.
 

(1) Nuovo Testamento e mitologia. Il manifesto della demitizzazione, Brescia 1990.
(2) E ognuno si immagini le misure di un angelo.
(3) Ricerca sull'intelletto umano, X.

Miracoli e guarigioni di fronte alle scienze
Le scienze della natura sono spesso invocate per criticare la credenza nei miracoli. Piuttosto che credere che le acque del mare possono sollevarsi e lasciar passare all'asciutto oppure che il sole possa arrestare la sua corsa, bisogna piuttosto considerare ciò che gli studiosi dicono del funzionamento regolare e prevedibile della natura. Ma, attualmente, piuttosto che i prodigi negli astri o nella natura, sono le guarigioni del corpo che costituiscono l'essenziale dei miracoli, benché vi siano ancora statue che piangono olio o sangue, di tanto in tanto. Ammettendo che si possa constatare un'assenza di spiegazione scientifica per certe guarigioni, quale atteggiamento scientifico adottare? È meglio ricorrere a scienze diverse dalla medicina o dalle scienze della natura. Le scienze umane, come spiega l'antropologo Jean-Pierre Albert, hanno un ruolo cruciale da svolgere. Quando la spiegazione con le leggi della natura non è più possibile, resta l'esame dei testi e delle testimonianze, nonché delle nostre motivazioni a prestarvi fiducia o meno. Quando il simbolo ha la prevalenza sul fatto e il testo sull'atto, sono le scienze umane che devono analizzare la credenza nei miracoli. La psicologia, l'antropologia e le scienze cognitive possono illuminare il rapporto con il corpo, la somatizzazione, la speranza di guarigione. I miracoli non sono solo eventi che violano le leggi naturali, hanno un senso che deve essere interpretato, per comprendere ciò che ci affascina in essi.

 Yann Schmitt in "Témoignage chrétien", supplemento al n° 3555 del 26 settembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)