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12/10/2013 06:38:00

Quarto processo per la strage di Via D'Amelio. Candura: "Minacce e botte..."

Minacce, botte e pressioni per raccontare di essere stato lui l'autore del furto della Fiat 126. Salvatore Candura, ex pentito e condannato a 12 anni in primo grado per calunnia per le false dichiarazioni rese sulla strage di via D'Amelio, ha raccontato ieri in corte d'Assise a Caltanissetta - nel quarto processo per la strage - quello che avrebbe subìto rivelando di essere stato minacciato anche quando decise di ritrattare.
Candura è rimasto sul pretorio per oltre sette ore e ha raccontato che «nel marzo 2009 ritrattai le mie precedenti dichiarazioni davanti ai magistrati di Caltanissetta e pochi giorni dopo venni avvicinato da due persone in un bar di Palermo. Io ritenni che fossero poliziotti che mi invitarono a confermare le vecchie dichiarazioni. Recentemente mi hanno rubato la macchina e l'ho ritrovata smontata e con sopra un cartello su cui c'era scritto "pentito" o "confidente", non ricordo bene. Quindici giorni fa qualcuno bruciato il motore del mio scooter e ora temo che qualcuno possa far del male a mia figlia. Io desidero solo andare via dalla Sicilia».
Su quanto accaduto nei mesi successivi alla strage, Candura ha parlato di pestaggi e pressioni subite da rappresentanti delle forze dell'ordine: «Il dott. Arnaldo La Barbera mi diceva di confessare, di dire che ero stato io a rubare la 126 e che l'avevo portata ad un tale Profeta in una traversa di via Cavour. Io dicevo di non sapere nulla, ma lui era accanito, continuava a dire: "Guarda che io diventerò la tua ossessione", "ti faccio dare l'ergastolo" e mi diceva che, se avessi confessato, mi avrebbe fatto entrare nel programma di protezione e avrebbe aiutato la mia famiglia. Quando mi portarono in carcere chiesi di parlare con un funzionario e l'agente che era con me mi chiese di spiegargli cosa dovevo dire: gli confermai che volevo dire che con il furto della macchina non c'entravo niente. Poco dopo, in cella, entrarono il funzionario e lo stesso agente che mi sbattè la testa per terra e mi picchiò continuando a dire che dovevo ammettere il furto della 126. Io sono solo un piccolo ladro, non ho nulla a che fare con la mafia, anzi odio la mafia e quando parlavo della strage mi sono inventato un sacco di fesserie pur di apparire credibile, ma finivo per contraddirmi e mi chiedevo come mai nessun magistrato se ne accorgesse».

STRAGI DEL '93.  La corte d'Assise d'appello di Firenze ha confermato l'ergastolo inflitto in primo grado al boss Francesco Tagliavia (nella foto), boss del palermitano corso dei Mille è accusato di essere uno degli autori materiali dell'attentato di via dei Georgofili a Firenze e delle altre stragi mafiose del 1993-94 a Roma e Milano. Per l'accusa sono state determinanti le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza.
«È stata confermata l'attendibilità di Spatuzza», ha commentato del sostituto pg Giuseppe Nicolosi che, con il collega Alessandro Crini, ha sostenuto l'accusa al processo d'appello a Francesco Tagliavia. La corte d'Assise d'appello di Firenze ha assolto il boss solamente per l'attentato fallito a Totuccio Contorno, nell'aprile del 1994. Nella sentenza con cui la corte d'Assise d'appello di Firenze ha confermato l'ergastolo a Francesco Tagliavia «c'è una contraddizione macroscopica, visto che è stato assolto per l'unico fatto sicuramente riconducibile alla mafia», ha commentato l'avvocato Luca Cianferoni, difensore di Tagliavia, definendosi «moderatamente soddisfatto», visto che il suo assistito non è stato ritenuto colpevole dell'ultima delle sette stragi di cui era accusato, l'attentato fallito a Totuccio Contorno. Per Cianferoni quella oggetto del processo «è una vicenda, oltre che tragica, anche politica, e questa è la vera sfortuna del nostro assistito». Cianferoni ha annunciato ricorso in Cassazione. Per la presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, la sentenza «è una lezione per chi vuol togliere l'ergastolo e il 41 bis». «Non si può togliere l'ergastolo - ha infatti spiegato - agli uomini di Cosa nostra che non collaborano e non si pentono.
Quella di oggi è una lezione anche per chi vuole l'indulto o l'amnistia». «Ancora una volta - ha concluso Maggiani Chelli - un uomo di Cosa nostra si è preso l'ergastolo con isolamento diurno».



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