“Quando diventi cosciente che il nostro tempo ha un limite, è il momento in cui cerchi di riempire quello spazio vuoto con tutta la tua energia e ricominci a vivere ogni istante della tua vita in modo pieno come quando eri bambino". Ludovico Einaudi.
Se devo essere italiana, e lo sono, e a volte ne sono fiera, voglio che la mia terra porti nel mondo la sua cultura, la sua storia, la sua infinita bellezza. Non voglio che la corruzione trovi sempre più spazio sui giornali, non voglio trasmissioni televisive che, a destra o a sinistra, creano o alimentano il mito di personaggi equivoci e inutili.
E fino a quando saremo costretti a vedere esportate mafie, come fossero mozzarelle, crisi e debito come fossero il nostro unico piatto del giorno?
Perché dell'altro, in tavola, c'è.
Oltre agli stereotipi sulla cucina o sul turismo del Bel Paese, c’è altro materiale di cui essere fieri perché gli italiani, un tempo popolo di santi, poeti e navigatori, oggi sono anche astronauti, scienziati e musicisti.
Per questo motivo, vorrei che si parlasse più spesso, ad esempio, della nostra musica e dei nostri geniali compositori. Anzi, riflettendoci, la cultura musicale è insita nella nostra storia. Non a caso la parola italiana Opera è utilizzata, in modo invariato, in tutte le lingue del mondo.
In particolare a partire dal 1600 col “Recitar cantando”, si cominciano a mettere in musica poemi e madrigali per rappresentarli a corte e allietare eventi della vita nobiliare. Gradualmente, si diffonde l’idea di cantare, oltre ai drammi amorosi, le storie dei personaggi della mitologia o della storia romana. A Venezia, con l’occasione del Carnevale, le rappresentazioni escono dai palazzi di corte e trovano spazio nei primi teatri. Con il biglietto di accesso, lo spettatore riceve un libretto in cui seguire i testi cantati in scena. Da lì, intorno al 1700, il melodramma si sviluppa in tutta Europa e da allora in poi sarà chiamato Opera Lirica o, per abbreviazione, Opera.
Bastano poche citazioni per capire quanto sia conosciuta nel mondo la lirica italiana: si pensi al Barbiere di Siviglia, all’ aria del Va Pensiero, alla Tosca.
E oggi?
Oggi la musica è parte della nostra cultura anche se trova poco spazio nell’educazione dei nostri ragazzi e, nonostante questa riduzione, la penisola produce dei maestri compositori che girano il mondo diffondendo valori aggiunti come la creatività, la fantasia, il virtuosismo. La loro presenza riempie i teatri e ci ricorda che la musica è una delle risorse più belle che abbiamo, che è dentro di noi forse perché la ereditiamo dai nostri padri o perché, in un luogo magico e antico come l’Italia, ne siamo sempre inconsapevolmente circondati.
Tutto esaurito era, infatti, il Chiostro della Galleria d’Arte Moderna di Palermo il 21 luglio, e pienissimo l’Auditorium Parco della Musica di Roma il 24 luglio (per citare le ultime date del tour), per la presentazione del nuovo lavoro di Ludovico Einaudi.
In a Time Lapse, come suggerisce il titolo, è una riflessione sul tempo. Non per volerlo fermare né ricordare, ma piuttosto Una parte di tempo per unire tutte le esperienze di conoscenza, tutte le emozioni della vita in un singolo momento.
“Quando diventi cosciente che il nostro tempo ha un limite, è il momento in cui cerchi di riempire quello spazio vuoto con tutta la tua energia e ricominci a vivere ogni istante della tua vita in modo pieno come quando eri bambino", spiega il musicista.
L'album contiene 14 tracce ed è strutturato come un libro in cui ogni pezzo è legato all'altro, come se ogni brano fosse un capitolo. Al piano, si affiancano gli archi, le percussioni e non manca l’incursione della musica elettronica. Le esecuzioni sono frutto dell’incontro tra la band del compositore, i Virtuosi Italiani (una formazione che vanta un’esperienza internazionale più che ventennale) e, ospite d’eccezione, il musicista inglese Daniel Hope con il suo meraviglioso violino (un Guarneri del Gesù del 1742).
L’album è stato registrato all’interno del monastero di Villa S.Fermo a Lonigo, provincia di Vicenza. L’obiettivo era evidentemente quello di trovare un luogo isolato ma accogliente in cui potersi concentrare esclusivamente sugli spartiti. Considerato che il monastero è immerso nel verde, potrebbe pensarsi a un messaggio nascosto di riconciliazione con la natura. Sembra, pure, che la serenità e l’armonia di quel luogo siano rimaste incise nelle note.
Le composizioni di Ludovico Einaudi non sono soltanto lente e pacate ma intercalate da brani che colpiscono per la vitalità e l’energia che trasmettono all’ascoltatore. Pensiamo, ad esempio, al celeberrimo Eden roc che è stato scelto dalla Tiscali per un suo spot del 2009. Il compositore ha, inoltre, firmato le colonne sonore di numerose pellicole. Il più recente è il film Quasi amici e, in questo caso, la musica diventa qualcosa in più di un semplice sottofondo e contribuisce a incorniciare una storia, già di per sé, speciale e toccante.
Einaudi definisce il suo stile “minimalista” infatti taglia, da intellettuale atipico, il superfluo per avvicinarsi alla nuda essenza delle cose, restando i suoi brani semplici e al tempo stesso ricercati. La sua musica, mettendo insieme lirismo e potenza, richiama la limpidezza tipica della musica classica.
Lo spettacolo dal vivo è un’esperienza da non perdere.
Comincia con un dialogo appena bisbigliato tra il pianoforte e il violino al quale, poco alla volta, si uniscono tutti gli strumenti aumentando i toni e i volumi fino a raggiungere un’esplosione corale. Il maestro dirige con pochi cenni e semplici sguardi mantenendo la sua posizione al piano, senza mai staccare le mani dalla tastiera. Prosegue, così, un concerto di due ore consecutive in cui la malinconia è bandita e l’energia è tale da togliere il fiato.
In questo album si trova di tutto. La dolcezza e l’impeto, la serenità e l’inquietudine, l’armonia classica e il mistero, la quiete quindi la tempesta. I battiti della terra (le percussioni) e l’infinità dei cieli (nella melodia dei violini), cioè le radici dei suoni. Esemplare l’effetto visivo dei proiettori che creano fasci di luce nel buio e punti dorati come fossero stelle.
Inaspettato quanto originale il tocco di Riccardo Laganà alle percussioni, tammorre e tamburelli, che chiude lo spettacolo - pensate un po’ - con il ritmo salentino della Notte della Taranta. Anche la contaminazione è peculiarità del maestro.
Infine la sperimentazione: lo xilofono, a volte, diventa protagonista e i suoni elettronici creano un’atmosfera fluida e intrigante che ci scuote e ci avvolge dolcemente tanto che alla fine del concerto l’intera sala è piena di gente in piedi ad applaudire lietamente.
Buona continuazione, dunque, al nostro compositore che nei prossimi mesi si recherà a Londra e poi a Mosca, a Copenaghen, a Dublino e in tante famose ribalte porterà dall’Italia qualcosa di puro e incorrotto: la musica.
Sabrina Sciabica