Ad avvisare i clienti, in osservanza al celebre motto “Rrobba abbaniata, menza vinnuta”, ci pensava Vito Adamo, che era anche il banditore “ufficiale” del paese, spesso coadiuvato da un tammurinaru. Noto a tutti con la ‘ngiùria di “Vitu Chiuviddu”, gestiva anche l’unica pescheria esistente in paese e che si trovava all’inizio della maestosa scalinata che declinava dalla Piazza Dittatura verso l’Addolorata. Ostentando fieramente vistosi baffi alla Vittorio Emanuele, al pari di un personaggio di una novella del Capuana, don Vitu è la stessa persona dalla cui viva voce, tanti anni prima, l’illustre etnologo salemitano Alberto Favara ( più onorato all’estero che in patria) raccolse l’abbanniata del tonno. “Taliàtila ch’è bbiva, surra e tunnina, surra e tunnina! E lu culuri di la cirasa àvi, ch’è bbiva! Surra e tunnina! / E lu ventu mi l’annaca e lu suli mi l’asciuca, ch’è bbiva! / Surra e tunnina! / E tu manciasti surra e iò tunnina, semu a la para fin’a ddumani matina! / Surra e tunnina! “ (Guardatela ch’è viva, surra [pancia del pesce che si vende anche salata o essiccata] e tonno! E ha il colore della ciliegia, ch’è viva! E il vento la dondola e il sole l’asciuga, ch’è viva! E tu hai mangiato surra e io tonno, siamo alla pari fino a domani mattina! Surra e tonno!).
Ma se il tonno, venduto tra maggio e giugno, proveniva da Castellammare o da Bonagia, quello importato da Mazara era invece in gran parte costituito da quello che oggi viene chiamato “ pesce azzurro”, considerato allora cibo per i meno abbienti e oggi alla moda per via degli “omega tre” di cui sono tanto ricchi.
Affacciato al belvedere della “Strata Mastra”, don Vitu Chiuviddu dava il via all’abbanniata appena intravedeva la sagoma del carretto, nei pressi dell’abbeveratoio, “la funtanedda” di San Francesco di Paola, che arrancava lungo la serpeggiante strada polverosa proveniente da Mazara del Vallo. Dopo la sua morte avvenuta nel 68, si chiuse non solo la sua pescheria (foto), ma anche un’epoca. Iniziava l’era della “Lapa”. Quella dello “zu Turiddu” prima e dello “zu Vicenzu”, dopo. Mazaresi entrambi e destinati a diventare molto noti, s’inerpicavano lungo le stradine della cittadina e attraversavano le assolate contrade rurali per assolvere ad una grande missione: portare il pesce in tutte le case. Era l’apoteosi della vendita ambulante. I servizi di controllo erano efficienti e quasi mai veniva smerciata merce di scarsa qualità. La differenza del prezzo dipendeva solo dalla varietà. Quello per brodo, ad esempio, era leggermente più caro, perché ritenuto più “salutare” e indicato per gli ammalati. Così dettava la credenza popolare. Poi la svolta. Da parte dell’Amministrazione comunale si adottarono provvedimenti tendenti a scoraggiare la vendita itinerante. Inizia così il periodo dell’apertura delle pescherie. Persino uno spazio comunale fu adattato a tale scopo. Lo stesso dove oggi esiste il vespasiano pubblico, nei pressi della Piazza Libertà. Da qualche tempo però si sta verificando un’inversione di tendenza. Dopo quella comunale, oggi anche due delle pescherie private hanno cessato l’attività. Il commercio del pesce allo stato attuale è affidato, oltre che a due punti vendita fissi, ad un numero sempre crescente di ambulanti. Ci stiamo occupando dell’argomento anche perché ci è stato segnalato da numerosi cittadini, che non si sentono più sufficientemente tutelati. Si è diffusa la convinzione che le norme, pur essendo molto chiare, non vengono rispettate. Allo scopo di garantire la tutela del consumatore in materia di contrasto delle frode alimentari e rintracciabilità, oltre che ad assicurare la qualità, la provenienza e la freschezza del prodotto ittico, i controlli nei paesi rivieraschi sono affidati alla Guardia Costiera. Essi si concentrano sui ristoranti, osterie, trattorie, punti di ristoro turistici, locali etnici e sushi, hotel con ristorazione, supermercati e grande distribuzione, pescherie, mercati rionali, punti vendita surgelati, grossisti. E ultimamente particolare attenzione e’ stata posta al contrasto del fenomeno degli ambulanti di pesce su strada. I controlli, stando alle statistiche diffuse dagli organi competenti, hanno dimostrato che i soggetti che effettuano tale attività di vendita la svolgono in maniera del tutto incontrollata. Spesso illegale per mancanza di etichette o incomplete. Si è scoperto addirittura che del pesce decongelato viene spacciato per fresco. Insomma la carenza di informazioni al consumatore e la mancata tracciabilità e provenienza dei prodotti regna sovrana. Se tale contrasto si è dimostrato efficiente nei paesi di mare, ci chiediamo a chi spetta la tutela dei consumatori in quelli dell’entroterra, come è quello di Salemi? Siamo sicuri che tutti gli ambulanti che operano nel nostro territorio rispettano le norme vigenti? Che i titolari siano provvisti delle licenze previste ( Dia) e che i mezzi di trasporto siano fornite delle inderogabili prescrizioni e della necessaria coibentazione? E’ un interrogativo che poniamo all’attenzione di tutti e delle autorità competenti per prima.
Franco Lo Re