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30/06/2013 04:18:00

Donne, società competitiva e violenza

Questa esperienza l’ho rivissuta pochi giorni fa.
Io conservo gelosamente una vecchia agenda del 1946, dove mia madre, sin da ragazzina, annotava, sia manualmente che con ritagli di giornali dell’epoca, tutte le ricette che la interessavano. Un’agenda molto usata e di cui conosco ogni pagina.
I primi fogli, prima che cominci il calendario, sono dedicati, com’era l’uso dell’epoca, a vari consigli di economia domestica, di pronto intervento medico, di galateo.
Pagine mai lette, solo sfogliate alla svelta.
L’altro giorno, proprio mentre sfogliavo quei fogli ingialliti, lo sguardo è stato attratto da alcuni consigli sull’uso delle parole e dei toni di voce quando si è in un ambiente pubblico. Sembrava di leggere un libro dell’800, invece si riferisce a solo pochi decenni fa. Quanti valori spazzati via, dimenticati. Anche il concetto di ambiente pubblico è cambiato. E il web è un nuovo ambiente pubblico, virtuale, ma pubblico.
Da tempo, purtroppo, assistiamo ad una maleducazione dilagante, e quello che più sgomenta è la violenza verbale che l’accompagna.
Gli insulti si sprecano, le parole, usate come proiettili, vengono lanciate nel web con la stessa leggerezza di palloncini innocui. Ogni giorno assistiamo attoniti ad episodi di violenza che lasciano senza parole.
Perché si concretizzano così tanti atti di irruenza?
Gli psicologi studiano l’aggressività per cercare di capirne le origini. Alcuni studiosi affermano che essa è solo un tipo di comportamento influenzato dalle norme e dalle regole di ogni cultura. Il modello di vita dominante nella nostra società è di tipo competitivo, per cui, nella gran parte dei casi, la maggior parte degli esseri umani vede nel prossimo un concorrente, un rivale, un nemico da cui difendersi, da combattere, da sopraffare. Da tale modello di vita deriva inesorabilmente il mondo in cui viviamo, fatto di ingiustizia, di incomprensione, di sfruttamento, di guerre, di massacri. Gli esseri umani vengono al mondo con tendenze all'aggressività ma anche con tendenze alla cooperazione e all'altruismo. E’altrettanto chiaro che il tipo di educazione che viene impartita nella nostra società ha in generale l'effetto di potenziare le tendenze all'aggressività e di indebolire o addirittura atrofizzare quelle alla cooperazione e all'altruismo. Spesso si confonde la violenza con l’aggressività, ma in realtà sono parole che indicano comportamenti ben distinti tra di loro. L’aggressività è innata perché indispensabile alla sopravvivenza (aggressività difensiva), all’evoluzione (aggressività adattativa), alla maturazione del singolo (aggressività esplorativa). L’aggressività può essere considerata come una risposta dell’“Io” di fronte a qualsiasi minaccia esterna. Una certa dose di aggressività permette anche di affermare la propria identità.
La violenza, invece, rimanda al concetto di potere. Benché sia distruttiva nel suo effetto, il suo obiettivo ultimo non è provocare all’altro una sofferenza, ma sottometterlo, dominarlo, paralizzarlo, piegarlo. La violenza cerca di appropriarsi della volontà, del pensiero, dell’intimità di chi la subisce.
Secondo la teoria dell’apprendimento sociale, il comportamento viene appreso attraverso l’osservazione, l’imitazione, le ricompense e le punizioni che riceviamo, mettendo in luce la parte appresa del comportamento aggressivo. In tal senso, i mass-media, in particolare la televisione, sono una fonte di modelli per i bambini. Se, ad esempio, un bambino vede l’eroe di un cartone o di un telefilm che picchia e uccide una banda di persone che lo minacciano, poi potrà valutare di usare quel copione come guida per il proprio comportamento nelle situazioni in cui gli pare appropriato. Rimanendo sempre nell’ambito della famiglia, in genere i bambini fisicamente aggressivi hanno avuto genitori fisicamente punitivi che hanno impartito loro la disciplina mediante un modello aggressivo. L’aggressività può anche essere stimolata dall’ambiente (caldo, rumore, sovraffollamento e inquinamento), o dall’ingestione di bevande alcoliche. Sotto l’influsso dell’alcol, emergono con più forza le tendenze primarie di una persona (in vino veritas), per cui chi è portato a mostrare affetto, diventerà più espansivo e, chi tende alla violenza diventerà aggressivo. Altra causa scatenante è la frustrazione, cioè qualsiasi cosa che impedisca di raggiungere uno scopo, evoca uno stato di istigazione ad agire in maniera aggressiva. Non è detto che l’energia aggressiva esploda direttamente contro ciò che l’ha originata. Secondo il meccanismo della dislocazione, si impara a inibire le ritorsioni dirette, soprattutto quando altri potrebbero disapprovarci o punirci, e a trasferire l’ostilità dislocandola su bersagli più sicuri.
Molti si chiedono se le innumerevoli forme che assume la violenza umana (criminalità, ingiustizia sociale, intolleranza, razzismo, guerra, ecc.) siano inevitabili, siano mali senza rimedio a cui bisogna rassegnarsi.
L'opinione prevalente presso l'uomo della strada (e anche presso alcuni specialisti non aggiornati) è che l'aggressività umana sia istintiva, biologicamente determinata, naturale e perciò ineliminabile.
E' stato appunto per cercare di cancellare ogni traccia di questa vecchia concezione e di neutralizzare le conseguenze pratiche che ne derivano che un gruppo di studiosi di vari paesi (psicologi, psichiatri, etologi, biologi, antropologi e sociologi) si è riunito all'Università di Siviglia nel 1986 in occasione dell'"Anno internazionale della pace" promosso dall'ONU ed ha elaborato un documento scientifico.
In sintesi nella "Dichiarazione di Siviglia" si sostiene che la violenza non è una caratteristica biologica ineliminabile degli esseri umani ma è fondamentalmente determinata da fattori socioculturali. Infatti, le società matriarcali non hanno questi comportamenti violenti, né guerre di supremazia. Questo è un argomento tanto vasto e importante che merita di essere trattato in un altro momento.
A parte il fatto che, sia alla maleducazione che alla violenza non ci si abitua, quello che più intristisce è vedere come “il gentil sesso” si sia trasformato, negli anni, in “bad girl”, conformando i propri comportamenti a quelli maschili. Anche noi donne imitiamo spesso gli uomini in questa via senza senso. A prescindere da tutte le motivazioni sociologiche, psicologiche, culturali e perfino scientifiche sulla violenza, sia fisica che verbale, il punto focale che colpisce è che una donna possa incitare alla violenza verso un’altra donna.
Come la consigliera leghista, poi espulsa, che chiedeva, in un luogo “virtuale”, ma pubblico, se non ci fosse un africano disposto a violentare una ministra del nostro governo, colpevole di essere “nera”. Da notare che l’incitamento era fatto ad un africano e non a un “bianco”: non bisogna “contaminare” le razze!
Cosa può portare una donna adulta a desiderare per un’altra donna quello che da anni, la società civile cerca di arginare? A che serve parlare di feminicidio, di maschilismo, di etica culturale del comportamento, se poi ci si trova a dover educare non solo gli uomini, ma anche le donne?
Io non userò il termine “feminicidio” qui. Vado oltre il problema della violenza sulle donne, parlo di ogni essere umano, donna,uomo, bambino o animale, usato, abusato, corrotto, umiliato, ucciso.
La violenza sessuale è stata sempre usata dai regimi come umiliazione profonda, mossa dall’odio razziale, religioso o altre motivazioni simili. Ma ogni motivazione ha alla base il piacere perverso di usare il proprio potere, di avere in proprio potere un corpo, una vita. La violenza sessuale come controllo sociale, per timore di perdere la supremazia. Il timore di perdere il controllo sulle donne e doversi confrontare con loro, scatena le reazioni della società maschilista. Non a caso nei paesi del Nord Europa c’è un’alta incidenza di violenza nei confronti delle donne che, spesso, hanno responsabilità superiori agli uomini.
Ma, ho notato, che alla base dell’odio manifestato verso altri, c’è anche l’invidia.
Pensare che quella donna, che io considero inferiore, è colta, sapere che ha una carica istituzionale, magari superiore alla mia, scatena le mie frustrazioni, che io trasformo in odio. Questo, in modo semplicistico, è la molla che fa scattare il pensiero razzista. Accanto ai motivi personali, c’è poi, tutta una serie di motivazioni che alla base hanno la mancanza culturale di accettazione e dialogo con i propri simili. Solo abituando i giovani, sia in famiglia che a scuola, al dialogo e alla conoscenza, si può cercare di arginare questa dilagante piaga, che permea ormai tutti gli aspetti della nostra vita, a cominciare da tv, giornali e libri. Sia in tv che in libreria, spopolano i generi dove, immancabilmente, ci sono assassini seriali che compiono ogni genere di delitti efferati e dove le vittime sono donne, spesso con il compiacimento morboso dei particolari più raccapriccianti.
Il discorso qui diventa vasto, ma, mi chiedo cosa possiamo fare noi per limitare questa informazione violenta che circola liberamente su tv e libri, che sicuramente eccita menti border-line.
Penso che sia arrivato il momento di porre attenzione e segnalare le serie tv- spazzatura, invitare le case editrici a scartare libri, anche di scrittori famosi, dove sono descritte scene di sopraffazione e di violenza contro esseri umani e animali, iniziare una campagna di conoscenza e di dialogo, dove il diverso non è il nemico da combattere.
Trasformiamoci in gocce di tolleranza e dialogo…anche noi riusciremo a modellare le rocce.

Patrizia Bilardello
 



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