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24/05/2013 18:00:31

Il Grande Gatsby e il sogno americano

Bistrattato dagli “esperti” è già campione di incassi al botteghino per il weekend appena trascorso.
La trama è strutturata come un lungo flash back che si svolge nello studio di uno psicologo che invita il nostro narratore a raccontare i fatti attraverso la scrittura. È così che Nick Carraway realizza il suo sogno: diventare un romanziere. Il suo desiderio l’avevo spinto a lasciare il Middle West per New York, dove viene letteralmente folgorato dai colori, dallo sfarzo, dalle feste e dai fiumi di alcool, una realtà a lui estranea. In questa apparente dimensione onirica esiste un solo vero protagonista: il signor Gatsby. Leggendario, intorno a lui si mescolano storie, aneddoti platealmente incredibili eppure puntualmente confermati. Un uomo influente che necessita dell’aiuto di un ex scrittore squattrinato, che ora si da al mercato borsistico, per un thè pretestuoso. Lui deve rivedere Daisy, la cugina di Nick, sposata con un grosso ereditiero dai costumi disinvolti.
Si mescolano temi, la solitudine di un mondo patinato in cui nessuno comunica: “Adoro le grandi feste: sono più intime. In quelle piccole non esiste la privacy”. Il tempo, la volontà di fermarlo e di ripeterlo, l’esigenza di pianificare ogni cosa, l’ossessione del miglioramento di sé perché “la vita deve mirare in alto, deve andare avanti”. E allora Gatsby chiederà il gesto eclatante.
“Per me più che la storia d'amore è una tragedia del nuovo americano, che nel nuovo mondo, quello in cui tutto è possibile, cerca di diventare Rockfeller ma perde il senso della sua ricerca.” Dichiara Di Caprio alla presentazione del film.
La pellicola, se paragonata alla versione del 1974 sceneggiato da Francis Ford Coppola, perde il confronto soprattutto nello sviluppo psicologico dell’eroina. Mia Farrow, interprete di Daisy nella precedente trasposizione cinematografica, appare più curata e formata nel suo approccio introspettivo.
Il giudizio su Di Caprio-Gatsby è unanime. Una grande interpretazione, a cui l’attore ci aveva già abituato, in verità. È cresciuto il ragazzo di Titanic ed è riuscito a liberarsi dallo stereotipo di attore adorato dalle teenager. Dalle collaborazioni con Scorsese, a Inception di Nolan, fino alla perfetta performance alla corte di Tarantino con Django. Ormai una garanzia.
La colonna sonora insieme alla scenografia valgono da sole il prezzo del biglietto, la musica, il jazz e i costumi sono strepitosi. Del resto il regista aveva dimostrato di conoscere il mezzo già in Moulin Rouge.
Insomma, un viaggio nell’America anni 20, prima del crollo di Wall Street, età del proibizionismo e del pluriraccontato sogno americano. Dalla prospettiva di Scott Fitzgerald attraverso la macchina da presa di Baz Luhrmann e il suo coraggio di confrontarsi con l’immortalità di una maestosa opera letteraria.

Giulia Venditti