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24/04/2013 09:18:59

Scrive Vincenzo Pantaleo: "Dalle ceneri del Pd può nascere il Pd"

Un partito mai nato può dunque morire? E’ questa la domanda che oggi poniamo, mentre l’opinione pubblica guarda sempre più da tutt’altra parte, affascinata dalla irruzione sulla scena politica (ed ora anche istituzionale) del Movimento delle Cinque Stelle.
Difficile dire se l’appoggio tempestivo a Stefano Rodotà quale candidato alla Presidenza – cui pure personalmente ho guardato con favore – potesse rappresentare l’invocato cambiamento od invece piuttosto il de profundis di un partito costretto a farsi dettare la linea politica dall’esterno.
Certo è che la leadership del Pd e in primo luogo il suo segretario Bersani hanno palesato di non avere mai avuto, in ogni passaggio dell’elezione presidenziale, una visione politica e strategica degna di questo nome. Ondivaghi fino all’inverosimile, arroccati all’interno del Palazzo, hanno dapprima cullato il sogno delle larghe intese con Berlusconi, il “nemico” di sempre, proponendo la candidatura di Franco Marini, non osteggiata dal centrodestra, intendendo in tal modo strizzare l’occhio anche ad un certo mondo cattolico e sindacale.
All’esito dell’insuccesso hanno repentinamente cambiato rotta nel tentativo estremo di ricompattare il partito, invocando a gran voce il nome di Romano Prodi.
Il rimedio è stato peggiore del male: una personalità di caratura internazionale (seppure non del tutto esente da critiche sul piano interno) gettata nel tritacarne dei franchi tiratori.
Infine il ritorno a Canossa di fronte al “nemico”, con il cappello in mano, alla ricerca di una convergenza sull’anziano Presidente uscente, implorato di rimanere al suo posto stante l’impossibilità del Pd di far votare o proporre qualsiasi altro nominativo.
Il Pd destruens di sempre o il Pd consociativo di sempre?
In un modo o nell’altro è questa l’immagine del partito che si è data al Paese.
C’è un paragone singolare – se non fosse anche drammatico – che sovviene in queste ore, quello della Repubblica di Weimar che, dilaniata da una crisi economica irreversibile e con un tasso d’inflazione così elevato da portare in breve tempo il costo di un chilo di pane a svariati milioni di marchi, tentò di affidarsi all’anzianissimo aristocratico prussiano von Hindenburg.
Sappiamo purtroppo come andò a finire, la storia è maestra di vita.
Ecco Napolitano-Hindenburg appare oggi come l’ultima risorsa di fronte alla conclamata incapacità delle forze politiche di dare alla nazione un Governo e persino un “nuovo” Capo dello Stato.
Con questo non si vuol certo paventare il rischio di totalitarismi; tuttavia non è peregrino ipotizzare che se non si vareranno al più presto le riforme indispensabili per uscire dallo stallo economico in cui siamo impantanati, il malessere che alberga nella società italiana e che la protesta grillina è riuscita sinora a contenere entro sentieri democratici, possa prendere una qualche deriva inaspettata.
L’accordo Pd-PdL sul nome di Napolitano, di cui si vedranno nelle prossime ore i riverberi sulla formazione del Governo, è avvertito dall’opinione pubblica come un palliativo per bypassare le difficoltà di un partito al cui interno regna ormai un clima da resa dei conti.
Perciò nessuno oggi nel Pd può cantare vittoria.
Non Matteo Renzi – che pure appare il più accreditato per rilevarne le sorti qualora non si produrrà una drammatica scissione – che si trova nelle mani le ceneri di un soggetto politico ingovernabile. Né tanto meno il nuovo aggregato che sembra riconoscersi intorno alla figura di Fabrizio Barca, la cui intempestiva dichiarazione di appoggio a Rodotà nel bel mezzo della conferma di Napolitano (che pure lo aveva personalmente voluto al Ministero della Coesione Territoriale), è sembrato l’ennesimo tentativo per smarcarsi.
Nessuno nel Pd può oggi cantare vittoria, neanche a livello locale ed in primo luogo nella nostra città, lontana dalle alchimie romane ma dove la perdurante assenza della politica, della segreteria, di ogni forma di interazione con i cittadini continuano ad accrescere le distanze tra il gruppo dirigente e l’elettorato.
Dalle ceneri di un partito dissoltosi nel momento meno prevedibile si può tuttavia costruire un nuovo partito, se necessario passando anche attraverso nuove aggregazioni e facendo appello, senza preclusioni ideologiche, alle forze migliori della società che interpretano il bisogno di politica che c’è nel Paese. Attuando una vera e propria rifondazione su basi che favoriscano la partecipazione degli iscritti alle scelte interne, la trasparenza e una nuova cabina di regia agile e veloce come le sfide che i tempi impongono. In ogni caso si tratterà di un soggetto politico nuovo.
Solo se sarà in grado di dare risposte immediate a queste istanze il Pd potrà tornare ad essere lo strumento cui milioni di elettori ancora oggi guardano per concorrere alla politica nazionale.
Da questo bisogna ripartire, in modo netto, senza vendette e senza personalismi.

Avv. Vincenzo Pantaleo
Partito democratico - Marsala

 



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