Arconte è un ex agente di Gladio, la struttura paramilitare del governo italiano, ed ha operato negli anni ottanta nei paesi del nordafrica tra cui Libia e Tunisia. Ha anche confermato l'operatività in Somalia, ma non ha saputo fornire particolari. Molte volte sono stato a Trapani, e tutte le operazioni in Africa erano coordinate dalla locale sezione "Skorpio", ha raccontanto il teste. Arconte arrivava al porto e veniva accompagnato in una base d'appoggio che si trovava su una collinetta. Ha parlato del tragitto e del fatto che la casermetta distava dal mare qualche chilometro. La persona che andava a prenderlo e che gestiva la base trapanese era un certo Mimmo.
Solo anni dopo il teste ha saputo che era Vincenzo Li Causi, un militare italiano, sottufficiale dei servizi segreti italiani, ucciso in Somalia il 12 novembre 1993 durante la Missione Ibis II. Le dinamiche dell'agguato non sono ancora del tutto chiare anche perché il giorno dopo il sottoufficiale avrebbe dovuto far ritorno in Italia per conferire coi giudici in merito a Gladio, l'operazione stay behind ed il traffico di armi e scorie nucleari in Somalia. L'anno successivo il nome di Li Causi emerse nel caso della morte della giornalista Ilaria Alpi, uccisa sempre in Somalia, della quale il funzionario del Sismi sarebbe stato informatore su traffici di armi e scorie. I traffici o commerci come li ha definiti il teste Arconte, venivano disposti dal governo. Il teste ha anche mostrato ai giudici alcune lettere dell'ex presidente del Consiglio Bettino Craxi nelle quali lo invitava a tacere sull'attività svolta da Gladio.
Le armi - ha spiegato - viaggiavano a bordo di navi di linea, ma anche raccontato che la struttura aveva una piccola pista dove ha visto degli aerei. L'ex agente non ha eslcuso l'utilizzo di quei velivoli. Che c'entrino o meno i traffici di armi e le morti dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e dell'agente Li Causi con il delitto Rostagno, ancora oggi non è dato sapere, ma rappresentano comunque uno spaccato molto importante della storia e della politica italiana. Intanto in Procura a Palermo cresce lo stato d'allerta. Dopo la lettera anonima che ha annunciato un attentato contro il pm Nino Di Matteo, stavolta sono le intercettazioni in carcere della squadra mobile che fanno temere per i magistrati del pool antimafia.
E in quest'utlimo caso è proprio il pm del Processo Rostagno, il sostituto procuratore Francesco Del Bene, l'obiettivo dei dialoghi fra i boss. A febbraio, un capomafia della Noce, intercettato, si è sfogato con un familiare: "Quel Del Bene è troppo zelante, deve buttare il sangue, deve morire". Un mese
dopo, anche un boss dello Zen ha affidato un altro messaggio inquietante a un parente: "Quel pm è sempre presente in aula, sta rompendo...". Le due intercettazioni sono state oggetto di una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza presieduta dal prefetto.
Del Bene, napoletano, è uno dei magistrati della Dda di Palermo. Nel 2007, con i colleghi Nico Gozzo e Gaetano Paci, coordinò l'indagine che portò alla cattura dei superlatitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo e due anni dopo quella di Mimmo Raccuglia. In questi ultimi anni, Francesco Del Bene ha firmato centinaia di richieste di arresto nei confronti di capimafia. L'ultima sua indagine ha portato ai 37 arresti fra San Giuseppe Jato e Partinico. Da mesi, il magistrato segue anche le indagini sulla trattativa, assieme a Di Matteo, Lia Sava e Roberto Tartaglia.