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18/03/2013 18:42:44

Francesco, vescovo di Roma

I suoi primi gesti mi hanno dato l’impressione di una enorme consapevolezza, sicurezza, di una cultura raffinata ( come è normale per un gesuita) e di grande attenzione alle liturgie. Viviamo immersi nelle liturgie, cioè nella gestualità ( che comprende anche l’abbigliamento) organizzata in base all’ambiente ed allo scopo per cui siamo in quell’ambiente. Per esempio, è liturgia la procedura di apertura del Parlamento e di elezione dei presidenti delle camere. Ma non voliamo verso cose così complesse: ogni famiglia vive dentro le proprie liturgie, a pranzo, al mattino, quando i bambini vengono chiamati a far colazione, nell’organizzare la festa del compleanno; liturgie precise anche se non scritte regolano le incursioni in discoteca ( per esempio l’orario: mai di pomeriggio o in prima serata). I ribelli e i rivoluzionari di solito manifestano il loro dissenso anche attraverso il proprio corpo, i propri gesti, le proprie parole. Per esempio, nel famoso “Sessantotto” i ragazzi allungarono i capelli , le ragazze accorciarono le gonne; allora inaudito, oggi banale. Erano ribelli, non riuscirono ad essere rivoluzionari. Ho visto sui giornali , in questi giorni, le foto a confronto della prima messa del precedente papa e di questo. Benedetto XVI, contrastando il Concilio Vaticano II, diede le spalle ai fedeli, come avveniva – per secoli- prima della riforma liturgica (1964). Se il Concilio aveva iniziato una “rivoluzione”, Ratzinger confermava e visualizzava in un gesto liturgico la “controrivoluzione”, il contrasto al Concilio condotto per più di vent’anni assieme al papa polacco. Francesco I ha fatto riposizionare l’altare in modo da dare il volto ai fedeli. La faccia del vescovo di Roma si è girata di nuovo verso il mondo invece che star fissa su se stessa e la propria teologia. Da questo “segno” deriveranno atti conseguenti? Lo vedremo. Prima di benedire la folla di piazza S. Pietro, ha detto: viene prima la benedizione del popolo sul suo pastore, un minuto di silenzio per la vostra preghiera su di me. E si è profondamente inchinato. Ha spezzato un cerimoniale , che è una liturgia la quale a sua volta interpreta una tradizione. La tradizione è: il potere del papa viene dall’alto; io – non voi – invoco la benedizione di Dio; noi, quelli affacciati a questi balconi, siamo la guida della chiesa e voi il gregge. I gesti del nuovo papa sembrano voler sbaraccare tutta questa costruzione. Si tratta di un impegno colossale, perché nei quasi cinquant’anni che sono passati dal Concilio Vat. II i papi che si sono susseguiti hanno operato per frenare le spinte innovative del Concilio, soprattutto la “collegialità” del vescovi (che avrebbero dovuto affiancare il vescovo di Roma), la libertà della ricerca teologica, il valore positivo della diversità nelle comunità cattoliche, il fatto che il “popolo di Dio” viene prima degli stessi vescovi. Niente di straordinario, in quanto altre chiese cristiane applicano da decenni ( alcune da secoli) questi principi; ma per la chiesa cattolica riprendere seriamente il cammino indicato dal Vaticano II sarebbe rivoluzionario. I primi gesti del papa hanno evidenziato, anche, la piena consapevolezza del proprio potere “assoluto” che può esercitare. Può rovesciare o rispettare regole consolidate nei secoli.  Il vescovo di Roma, nella chiesa cattolica, ha questo potere. Dispiace dirlo, ma gli altri poteri assoluti paragonabili oggi esistenti al mondo sono quelli del re dell’Arabia Saudita e del dittatore della Corea del Nord. Ecco perché sembra strano che nella discussione in corso sui mass media a proposito delle responsabilità per “il volto deturpato della Chiesa” denunciato da Benedetto XVI , si tenda a separare le responsabilità del papa emerito da quelle della Curia, cioè del Governo. Ma non è possibile separare o diminuire la responsabilità del papa, separare il papa polacco da Marcinkus e dalle operazioni finanziarie dello IOR, Ratzinger dagli scandali del Vaticano. Aveva il potere di fare, di destituire e di nominare. Certo, va dato atto a Benedetto XVI di aver riconosciuto e denunciato il fallimento della sua gestione della vita della chiesa cattolica e di aver invocato la necessità di un cambiamento. Ma non ha detto una parola sul fatto che questo fallimento probabilmente era dovuto al suo sforzo costante volto a ripristinare una struttura ecclesiale che il Concilio voleva superare e aggiornare. Benedetto XVI probabilmente non poteva perché bloccato dalla propria concezione teologica preconciliare, della quale anche, sia pur implicitamente, dichiara il fallimento. Papa Francesco ha tutto il potere per intraprendere un nuovo cammino, ridisegnare una rotta, cominciando da una contraddizione in termini: ha il potere di diminuire il proprio potere. Basta sforzarsi di essere fedele all’esempio di Gesù, come il fraticello di Assisi. Semplice!   Marsala, 17 marzo 2013   -    Giovanni Lombardo - da www.chiesavaldesetrapani.com  



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