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22/02/2013 05:13:45

Messina Denaro, continua il processo a Marsala. Avanti con le ricerche. E' indagato pure per la strage di Capaci

La richiesta è stata avanzata, ieri, in Tribunale (presidente Sergio Gulotta), nel corso del processo scaturito dall’operazione antimafia <Golem 2>, del 15 marzo 2010, che alla sbarra degli imputati, oltre al boss latitante castelvetranese, vede anche 13 suoi presunti favoreggiatori. Il rappresentante dell’accusa ha chiesto di ascoltare i pentiti palermitani Manuel Pasta e Giovanna Micol Richici e l’agrigentino Calogero Rizzuto. I primi due potranno riferire anche <su circostanze abbastanza recenti, tra il 2007 e il 2009, nei rapporti tra Messina Denaro e le organizzazioni mafiose della provincia di Palermo>. Per risparmiare <tempo e denaro>, gli avvocati Cardinale e Scozzola hanno, però, invocato deposizioni in video-conferenza (<Occorre evitare lunghe e costose trasferte>). Il pm ha chiesto, inoltre, l’ammissione di una serie di sentenze di condanna e la deposizione di un colonnello dei carabinieri Bottino (Ros). Altre richieste sono state, invece, avanzate da diversi avvocati difensori. L’avvocato Stefano Messina, legale di Lorenzo Catalanotto (accusato, assieme a Marco Manzo, di essere l’autore dell’incendio appiccato alla villa di Triscina della famiglia del consigliere comunale del Pd Pasquale Calamia), ha invocato l’ammissione di sette delibere su piani di lottizzazione votate dal Consiglio comunale di Castelvetrano a cui Calamia <diede parere negativo>. A inizio di udienza, sono stati ascoltati un appuntato della Guardia di finanza, Vincenzo Valenti, e un assistente capo di polizia, Enza Angotti. Il primo ha detto che sia le Fiamme Gialle, che le altre forze dell’ordine di Castelvetrano portavano i loro mezzi a riparare nell’officina di Leonardo Ippolito (unico imputato a piede libero), per l’accusa luogo di riunione di mafiosi. Su ciò ha riferito la Angotti, che effettuò servizi di osservazione. <Il 29 aprile 2005 – ha dichiarato la poliziotta – dopo una telefonata intercettata tra un dipendente dell’officina di Ippolito e Antonino Marotta, abbiamo visto arrivare in auto sia il Marotta, che era sua una Punto, che Filippo Guttadauro (cognato di Matteo Messina Denaro, ndr), che era su una Panda verde assieme a un nipote>. Oltre a Messina Denaro, Marotta, Ippolito, Catalanotto (a cui è stato sequestrato il Bar Moijto), imputati sono anche Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Tonino Catania, Giovanni Filardo, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Risalvato, Filippo Sammartano, e Giovanni Stallone.

 LE INDAGINI. In silenzio, senza clamore, continuano le indagini alla ricerca di Matteo Messina Denaro, ritenuto il capo di Cosa nostra, latitante dal 1993.

 Quest’anno farà proprio 20 anni di latitanza, un periodo che diventa imbarazzante per lo Stato italiano che gli dà la caccia, e che alimenta il mito del padrino imprendibile, come lo fu suo padre (Francesco Messina Denaro, consegnatosi all’autorità solo dopo la sua morte il 30 Novembre del 1998).
A cercare Messina Denaro sono in tanti, forse anche in troppi. Ed è questo uno dei motivi per cui il boss, nonostante si sappia con certezza, ormai, che faccia base nel Belice, tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, non viene catturato. Lo cercano tutti, senza coordinarsi: i carabinieri, la Catturandi di Palermo, i servizi segreti, alcuni “cani sciolti” attratti dalla ricca taglia sul suo conto. Ma, come avvenuto questa estate con l’arresto del boss agrigentino Leo Sutera, spesso quando uno di questi soggetti si muove, pregiudica il lavoro di altri. Dopo l’arresto di Sutera, questa estate, successe un putiferio: il procuratore aggiunto Teresa Principato, che coordina le ricerche di Messina Denaro,denunciò che le indagini del Ros sul super latitante trapanese erano state "stoppate" dal blitz della polizia, coordinato da altri pm della Procura che aveva portato all’arresto di Sutera. Quest’ultimo era da due anni seguito dai carabinieri, perchè erano convinti che avesse un legame diretto con Matteo Messina Denaro. Con l’arresto, si è bruciata la pista.
Adesso su Messina Denaro si concentra la Procura di Caltanissetta.
La sua posizione è stata stralciata dalle indagini sulla strage di Capaci, già chiusa dalla Dda, e prosegue all’interno di una nuova inchiesta (bis) che lo vede come unico indagato. I magistrati nisseni stanno lavorando alla ricerca di nuovi riscontri alle dichiarazioni dei pentiti.Su tutti Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzzacoloro
i quali hanno puntato l’indice sul boss trapanese. Il primo ha raccontato il ruolo che ebbe prima delle stragi mafiose del ’92, dell’«impegno» che aveva assunto per uccidere il giudice Giovanni Falcone a Roma e ha sostenuto del suo pieno coinvolgimento nella riunione della cupola mafiosa allor quando venne decisa la stagione stragista. Spatuzza non si è allontanato dalle dichiarazioni di Brusca ma ha aggiunto anche altro,
affermando che fu proprio Matteo Messina Denaro ad appoggiare la sua candidatura per la reggenza del mandamento di Brancaccio dopo l’arresto dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.
I collaboratori di giustizia hanno anche fatto luce sulle stragi del ’93, quelle compiute a Roma, Firenze e Milano. Hanno spiegato il perché e il motivo della scelta di quelle città.Hanno anche aggiunto che in Cosa nostra ci fu una spaccatura,due correnti di pensiero sulla strategia stragista ma poi il boss Bernardo Provenzano riuscì a mettere tutti d’accordo, unendo gli «oltranzisti»e i«moderati ».

Le indagini dei magistrati nisseni, a seguito delle dichiarazioni dei pentiti, hanno potuto accertare che, successivamente all’arresto di Riina, si formarono, all’interno di Cosa nostra, due diversi orientamenti rispetto alla linea da tenere in merito alla campagna stragista avviata nel 1992.
Si formò un gruppo di «oltranzisti » che intendeva continuare a percorrere la strada già intrapresa e di cui facevano parte Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro.
Oltre aGiovanni Brusca è stato anche Gaspare Spatuzza ad indicare in Matteo Messina Denaro il personaggio mafioso di primo piano nella strategia stragista. Proprio Spatuzza ha svelato che era stato combinato da Matteo Messina Denaro e, per volontà di quest’ultimo e di Giovanni Brusca (all’epoca molto vicino a Totò Riina), era stato contestualmente posto al vertice del mandamento di Brancaccio, divenendo il custode delle armi ed avendo la direzione delle attività estortive compiute sul territorio. Entrambi i pentiti quindi conoscono benissimo Matteo Messina Denaro e lo indicano come colui il quale prese in mano le redini per compiere
gli attentati nel continente. Dapprima quando doveva essere ucciso Giovanni Falcone. I pentiti affermano che la fase esecutiva del piano ideato venne affidata agli uomini più rappresentativi della provincia mafiosa di Trapani e, nella specie, a Matteo Messina Denaro, incaricato di reperire la base logistica in Roma per gli attentatori.
Lo stesso Messina Denaro andò alla fine di febbraio del 1992 a Roma per partecipare materialmente alla realizzazione dell' attentato, unitamente ad un appartenente alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Attentato poi stoppato da Riina che ordinò che doveva essere fatto in Sicilia, in modo “spettacolare”.
DI Messina Denao si occupa anche la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia.
La sua cattura ''non puo' che costituire una priorita' assoluta ritenendosi che, nella descritta situazione di difficolta' di Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, cosi' importanti in questi luoghi, un danno enorme per l'organizzazione''.
Così è scritto nella relazione, l'ultima firmata dal procuratore Piero Grasso, riferita al periodo luglio 2011-giugno 2012. ''E' quasi normale che Matteo Messina Denaro'' espressione di uno dei piu' consolidati sodalizi mafiosi operante in provincia di Trapani, quello castelvetranese, si legge nella relazione, ''continui a mantenere il suo stato di latitanza, nonostante l'intensa attivita' di ricerca effettuata nei suoi confronti ormai da molti anni; e' infatti inevitabile che lo stesso goda di una cosi' vasta rete di protezione che, oltre ai tanti soggetti organici a Cosa Nostra, direttamente impegnati in un'efficientissima azione di supporto, coinvolge necessariamente anche una pluralita' di altri insospettabili individui che, seppur estranei ad ambienti criminali, vivono ed operano in un contesto socio-culturale in cui l'adoperarsi in favore di organizzazioni mafiose, o di esponenti di essi, viene avvertito come comportamento dovuto''.