E fa impressione vederli aggirarsi come spettri tra le rovine del loro lavoro, perchè il passato per loro è il futuro. Ma l'importanza dei Beni Culturali e l'indotto enorme che comportano, gli scorsi Governi proprio non l'hanno capita.
In Italia ci sono 15.000\18.000 archeologi (laureati\specializzati\dottorati) , di cui attualmente solo 6.000\7.000 operanti in attività archeologiche. Sono numeri impressionanti, soprattutto se si pensa che solo poche centinaia di essi sono oggi ufficialmente riconosciuti e, in rapporto all'estensione del territorio italiano, possono quantificarsi come insufficienti a garantire la copertura delle esigenze della tutela del patrimonio archeologico italiano. La conseguenza è che da decenni il Ministero per i Beni e le Attività Culturali delega le attività archeologiche a soggetti terzi, senza averne tuttavia definito competenze e i titoli. Infatti, il c.d. Codice Urbani (DLgs 42/2004), che si concentra sulla definizione del bene culturale e sulla sua tutela, non individua parallelamente requisiti e competenze dei soggetti che svolgono questa tutela. Sembrerà assurdo ma nel Codice non compare mai la parola archeologo. Motivo per cui è sempre mancato un riconoscimento e una regolamentazione della professione e per cui l’archeologo oggi non ha tutele e diritti.
Il 16 gennaio 1992 a La Valletta viene conclusa la Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico che stabilisce che la tutela deve essere integrata con programmi di pianificazione territoriale, che chi attua trasformazioni del territorio deve sostenere le spese inerenti la tutela archeologica inserendo già a monte del bilancio dei lavori, pubblici o privati che siano, le risorse economiche della tutela: in sintesi i committenti, sia privati che pubblici, devono sostenere interamente le spese dell’intervento. Nella maggior parte dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione è nato un sistema di archeologia professionale con linee guida:strumenti fondamentali perché permettono tanto all’archeologo quanto al committente di preventivare il costo del lavoro. Ovviamente ogni Paese ha adattato la Convenzione alle proprie esigenze. Sono passati venti lunghi anni ma la Convenzione nel nostro Paese non è ancora stata ratificata. Eppure la nostra legislazione in parte l’ha recepita. Nell’art. 42 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (DLgs 42/2004, Codice Urbani), anche i piani regolatori di alcune città, come Roma, Firenze, Napoli e Torino, hanno recepito in parte le disposizioni della Valletta, ma si tratta solo di piccoli aggiustamenti. In Italia serve una legge, valida su tutto il territorio nazionale, che chiarisca in maniera completa le procedure che committenti sia pubblici che privati devono adottare: se si vuole tutelare seriamente il nostro patrimonio archeologico, è necessaria una legge che imponga a chiunque voglia effettuare scavi la supervisione di un archeologo che valuti il potenziale archeologico. L’applicazione di una simile legge comporterebbe l’impiego di un vasto numero di archeologi. La Convenzione risolverebbe tutte queste problematiche perché già le prevede, ratificarla comporterebbe una maggiore concertazione della tutela, oggi prerogativa esclusiva del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac). Conseguenza della mancata ratifica è il ritardo nello sviluppo e nella modernizzazione tanto dell’archeologia quanto della tutela del patrimonio. L’archeologo oggi è condannato ad uno stato di precarietà, la sua professionalità continuamente mortificata, la sua passione calpestata. Esattamente un anno fa Lorenzo Ornaghi, aveva pubblicamente promesso come obiettivo prioritario del suo mandato la ratifica della Convenzione. La Ratifica della Convenzione di Malta è strumento indispensabile per portare in maniera stabile la professione nella cabina di regia della pianificazione territoriale. Sarebbe il riconoscimento di una categoria che interviene in una materia di interesse pubblico, per la quale vanno formulate norme contrattuali e formative. E’ necessaria l’istituzione di elenchi nazionali degli archeologi e delle attività cui sono deputati, per evitare abusi, clientelismi e qualsiasi prassi scorretta. È altresì fondamentale, anche in applicazione alla recente riforma del lavoro, regolamentare e controllare i compensi degli archeologi, introdurre gli ammortizzatori sociali minimi e garantire diritti come quello alla maternità. Quei diritti costituzionali che dovrebbero essere garantiti a ogni lavoratore. Oggi l’archeologo deve lottare ogni giorno alla ricerca di un cantiere, di un contratto (a progetto,altrimenti con partita Iva) il più delle volte sottopagato. Il 19 dicembre 2012, dopo trent’anni di attesa, è stato approvato dal Parlamento il DDL 3270 sulla Regolamentazione delle professioni non organizzate in ordine o albo, tuttavia occorre riconoscere pubblicamente per legge la figura professionale in un testo normativo ad hoc che metta chiarezza, costituendo superamento del divario tra l’archeologia italiana e quella europea.
“L'unica cosa che mi hai insegnato, papà, è che io sono meno importante di popoli morti cinquecento anni prima in un altro paese”. Questo diceva nel 1989 Indiana Jones. E le cose, per gli archeologi, non sono poi tanto cambiate.
Valentina Colli