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30/01/2013 08:46:08

Chi era e cosa insegnava il teologo Tissa Balasuriya ?

Di qui la necessità di presentare la teologia con un approccio nuovo: nel 1971 Balasuriya dà le dimissioni dall’Università e fonda il Center for Society and Religion con lo scopo di rendere gli insegnamenti cristiani accessibili ai concittadini non cattolici. Nel 1975 fonda anche l’Ecumenical Association of Third World Theologians (Associazione ecumenica dei teologi del terzo mondo, Eatwot) e nel 1978 esce il suo libro Eucharist and Human Liberation (“Eucaristia e liberazione umana”), che lo inserisce nella scia dei teologi della liberazione. Negli anni ’90 l’approccio innovativo della teologia di p. Tissa suscita diffidenza e sospetti. La vicenda ha il suo avvio nel 1990 quando Balasuriya – ormai molto noto e apprezzato in Asia – pubblica il libro Mary and Human Liberation (“Maria e la liberazione umana”), che circola senza alcuna opposizione per oltre tre anni. All'inizio del 1993, il religioso viene convocato dai vescovi dello Sri Lanka. Uno di essi, mons. Malcolm Ranjith, gli legge un documento elaborato da una commissione teologica ad hoc, che invoca «misure disciplinari per impedire» a Balasuriya «di impegnarsi ulteriormente in riflessioni teologiche immature e irresponsabili». Quali sono le "eresie" di cui si sarebbe macchiato? Sarebbe colpevole di interpretare in modo personale la dottrina del peccato originale, dandone un'immagine erronea, e di insinuare dubbi molto pesanti sulla divinità di Cristo, sul suo ruolo di redentore e sui dogmi mariani. Nessuna possibilità di difesa Alle accuse, il teologo risponde che le idee contenute nel suo libro sono state distorte dalla commissione teologica e che non gli è stata data alcuna possibilità di spiegarsi, né di replicare pubblicamente. Ma la sua difesa non sembra essere tenuta in alcun conto: nel luglio 1994, la Congregazione per la Dottrina della Fede gli invia una serie di "osservazioni" sui presunti errori dottrinali del suo libro. Alle osservazioni dell'ex Sant'Uffizio Balasuriya risponde con un documento in 58 punti in cui mette in evidenza tutti i travisamenti del suo pensiero di cui sarebbero responsabili i vescovi che lo accusano. Nel novembre 1995, però, gli arriva la controreplica della Congregazione vaticana: le sue risposte  alle accuse vengono giudicate «insoddisfacenti». Per questo motivo gli viene inviata una "professione di fede" redatta ad hoc, con l'ingiunzione di sottoscriverla. Il testo, elaborato appositamente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, enfatizza in modo particolare l'infallibilità pontificia, la verginità di Maria, Dio come autore dei Libri della Bibbia, nonché l'origine divina (e non socioculturale) dell'interdizione al sacerdozio per le donne. Balasuriya rifiuta di sottoscriverlo, apponendo la propria firma, invece, in calce alla professione di fede di Paolo VI, precisando, tuttavia, di farlo nel «contesto dello sviluppo teologico e delle pratiche della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II e della libertà e responsabilità dei cristiani e dei teologi, stabilite dal diritto canonico». Il suo rifiuto, nel maggio 1996, comporta il ritiro della qualifica di teologo cattolico, nonché un'azione disciplinare sulla base del canone 1364 del Codice di diritto canonico, che prevede la scomunica latae sententiae (automatica) per eretici, apostati e scismatici, nonché la dismissione dallo stato clericale, nel caso si tratti di sacerdoti. La sanzione, datata 8 dicembre 1996, arriva senza un processo, nonostante quanto prescriva il Diritto Canonico, e senza un dialogo. «Ho più e più volte scritto a tutte le autorità – afferma Balasuriya – che sono pronto a correggermi pubblicamente se si prova che sono in errore rispetto alla scienza teologica contemporanea di fronte ad un tribunale equo».  La reazione del mondo teologico è planetaria. La scomunica lascia scioccati la congregazione religiosa dell'interessato, gli Oblati di Maria Immacolata, branca cingalese, così come la Commissione asiatica per i diritti umani, l'Associazione ecumenica dei teologi d'Asia, l'Associazione internazionale dei teologi del terzo mondo, il Forum delle religioni per la solidarietà mondiale e il Movimento degli studenti cattolici d'Asia e del Pacifico. Ci sono perfino manifestazioni di buddhisti e di induisti; nel resto del mondo, si schierano dalla parte dello scomunicato la sezione belga dell'Associazione dei teologi cattolici e numerosi organismi di laici e religiosi dell'America del Nord, dell'Australia e dell'Europa. Dal mondo più di diecimila lettere di solidarietà vengono inviate al teologo. Balasuriya fa quindi ricorso a Giovanni Paolo Il, la più alta istanza di appello, ma il papa lo rifiuta, e la scomunica diventa effettiva e definitiva. Balasuriya però non si arrende e fa appello anche alla Signatura Apostolica, la Corte Suprema del Vaticano, che però si dichiara incompetente ad accettare il ricorso del teologo in quanto è stato il papa in persona ad approvare la Notificazione di scomunica. Tissa, però, ancora una volta non si dà per vinto e invia alla Congregazione per la Dottrina della Fede una nuova proposta, quella di firmare il Credo di Paolo VI puro e semplice, senza la propria aggiunta. Alla fine, Roma torna sui suoi passi e ritira la sanzione. Maria, donna della classe operaia Ma cosa ha valso a Balasuriya tale trattamento? Nel volume incriminato il teologo afferma che la Maria liberatrice delle Scritture – donna «forte, della classe operaia» – il cui obiettivo era rovesciare i potenti dai troni, è stata oscurata da una «Maria disidratata», una «obbediente, fedele, dolce vergine madre». Una Maria, insomma, tradizionalmente addomesticata in una «consolatrice dei fragili di nervi», che non ha più nulla della «disturbatrice degli agiati» del Magnificat. Il particolare contributo di Balasuriya come asiatico riguarda, però, il dialogo interreligioso. Nel contesto in cui vive, la sfida è quella di «ripensare i dogmi fondamentali della tradizione cristiana» alla luce dell'induismo e del buddhismo: «In Asia – afferma – dobbiamo mettere in discussione le basi di una teologia che ha ferito i nostri popoli per secoli». Qui la sua teologia si trova di fronte a nodi spinosi, quando indaga le dottrine del peccato originale e della necessità della redenzione di Cristo. L'idea cristiana di «un'umanità che nasce ripudiata dal suo creatore», afferma Balasuriya, con il suo schiacciante senso di impotenza (Maria ha dovuto essere preservata dal comune destino umano attraverso l'Immacolata concezione), è profondamente inaccettabile per le altre fedi, così come lo è l’idea che «intere generazioni di altri continenti siano vissute e morte con una possibilità in meno di salvarsi». E qui, un altro nodo fondamentale: la critica all’idea di Gesù come «unico, universale e necessario redentore». Il concetto della grazia divina intesa come derivante da Cristo, sottolinea Balasuriya, non deve essere un ostacolo al dialogo con persone di altre religioni teistiche, dal momento che la grazia è vista come «benevolmente concessa a tutti gli esseri umani». L’aspetto più forte e “destabilizzante” per il Vaticano, tuttavia, è quello del precipitato politico della sua mariologia. La tradizionale pietà mariana, sostiene Balasuriya, «ha contribuito a legittimare le differenze di classe e di condizione tra Signore e coscienza del fedele, tra Nostra Signora e donna  comune». Da questo punto di vista, la pratica di recitare il rosario meccanicamente «può dare l'idea di una salvezza delle anime dalla perdizione senza alcun riferimento ad una liberazione umana integrale», così come l'apparizione di Lourdes «non dice nulla sulla condizione della classe operaia in Francia all'epoca», e ancor meno «allude ai danni fatti in Africa dall'espansione militare ed economica francese. Eppure, quando Maria viene presentata agli abitanti dello Sri Lanka, viene chiamata "Signora delle Vittorie" nel conflitto tra cristiani e turchi nella battaglia di Lepanto». E così, tranne rare eccezioni come Nostra Signora di Guadalupe o di Czestochowa, la Maria tradizionale è una «Maria del primo mondo del cristianesimo, capitalista, patriarcale e colonialista». Contro una cristologia esclusivista La teologia tradizionale cristiana su Gesù Cristo, sostiene p. Tissa, è sostanzialmente cristologia esclusivista, poiché «limita la salvezza ai cristiani, considerandola possibile soltanto per mezzo di Gesù Cristo, il necessario, unico e universale salvatore di tutta l'umanità» e afferma che «le altre religioni, per quanto possano presentare alcuni elementi di verità, non mostrano “la verità", né mostrano una verità capace di condurre alla salvezza i propri seguaci». L'interpretazione della vita, del messaggio e della morte di Gesù, intesi come riscatto per i peccati dell'umanità, insomma, «devia l'attenzione dal messaggio di Gesù di amore e giustizia in una società ingiusta che lo ha condannato a morire in croce. Questa cristologia interpreta generalmente la salvezza per mezzo di Gesù come quella di un Dio-Uomo che paga il prezzo per l'ira di Dio-Padre. Questo sembrerebbe contraddire il tema centrale del “Dio è amore” e dell’“ama Dio e il prossimo come criterio di salvezza” attribuito al Gesù dai vangeli». Questo approccio esclusivista, è la tesi di Balasuriya, è all’origine delle aberrazioni “politiche” di cui sono stati responsabili quanti gestiscono il potere nella Chiesa: «Le loro interpretazioni hanno condotto ad atteggiamenti di profonda arroganza e intolleranza delle potenti Chiese cristiane. Sono state utilizzate per legittimare l'Inquisizione, le invasioni coloniali, il multisecolare colonialismo. I papi hanno incoraggiato i capi di Stato europei a invadere, conquistare e convertire al cristianesimo tutti i popoli di altri Continenti perché si salvasse l'anima». Ne consegue che «la cristologia tradizionale esclusivista non può venir riconosciuta come una teologia che abbia a che vedere realmente con Gesù Cristo, per il danno causato alla maggior parte dell’umanità per 1.500 anni». All’origine di questo atteggiamento Balasuriya pone il dogma del peccato originale, tramite il quale «non c'è possibilità per la teologia cristiana di elaborare un'interpretazione che non offenda gli “altri” che sono fuori dalla Chiesa, le altre religioni». Di qui la necessità di un approccio pluralistico alle religioni, dal momento che nessuna di esse «ha il monopolio della conoscenza di Dio, della Realtà Ultima o della salvezza umana e della vita dopo la morte. Tutte le religioni devono essere disposte ad apprendere dalle altre, ad apprendere anche dalla società laica e persino dall'evoluzione del mondo e dal suo progresso». Ciò che Balasuriya propone, dunque, è di ripensare le religioni secondo una logica di complementarità che sostituisca lo spirito di competizione. «Le religioni mondiali – così Tissa – hanno un insieme di valori centrali sui quali possono concordare e cooperare per la vita sociale pratica». L’ultimo intervento di p. Tissa è stato pubblicato sulla rivista di teologia dell’Eatwot all’inizio del 2012. Qui il teologo riprende un capitolo di Mary and Human Liberation per esaminare i presupposti della teologia (v. Adista Documenti n. 20/12) ed arrivare ad una distinzione tra teologie positive e negative. «Ogni teologia che derivi autenticamente da Dio in Gesù – scrive – deve essere amorevole, rispettosa e soddisfacente per l’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi. È questa la natura del Dio di giustizia e di amore rivelato nella fondamentale (e migliore) ispirazione della Bibbia, in particolare da Gesù. Di conseguenza, nessun elemento che in una teologia risulti insultante, degradante, disumanizzante e discriminante in relazione all’umanità di ogni tempo e luogo può venire da Dio in Gesù. Qualsiasi elemento del genere risulta necessariamente come un'intrusione ingiustificata e deve essere eliminato dal corpo della teologia cristiana. Come dice Gesù, “dai loro frutti li riconoscerete”. Frutti di odio non possono venire da Gesù o da Dio». «Questo principio può condurre alla revisione di gran parte della costruzione tradizionale della teologia cristiana occidentale». In termini positivi, «dal momento che ogni bene viene da Dio – argomenta Balasuriya – tutto ciò che produce veramente umanizzazione in qualsiasi religione o ideologia è anche, in ultima analisi, di origine divina, e deve essere rispettato come tale. Dal momento che Dio vuole la felicità di tutti, più una teologia conduce alla piena realizzazione umana di tutte le persone e di tutti i popoli, più si avvicina alla sorgente divina. Questo principio di critica è razionale ed etico. Ci aiuta a liberare le teologie cristiane da immagini divine che, in contraddizione con l’insegnamento di Gesù, presentano Dio come intollerante, parziale e crudele o che promuovono la disumanizzazione e lo sfruttamento degli esseri umani».
 Ludovica Eugenio - in “Adista” - Notizie n. 4 del 2 febbraio 2013  
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