”E’ chiaramente un’intimidazione, ma con me le intimidazioni non hanno effetto”, ha commentato Forgione. Il procuratore generale e la figlia hanno presentato due distinte citazioni in giudizio facendo riferimento al capitolo del libro in cui l’autore ricostruisce le parentele acquisite dei due magistrati, alcune delle quali porterebbero, a loro volta, a parentele con esponenti mafiosi.
“Porto franco. Politici, manager e spioni nella repubblica della ‘ndrangheta”, pubblicato a giugno del 2012 da Dalai Editore, è un libro inchiesta. Un paragrafo è dedicato a giudici e avvocati che sono imparentati con il PG e lavorano nel Tribunale della città dello Stretto. “Per il procuratore generale il Tribunale è una seconda casa. Senza metafore”, afferma ironicamente Forgione. Oltre alla figlia, scrive nel libro, nel Palazzo lavorano il marito di lei, l’avvocato Attilio Cotroneo, definito “il principale esperto di assicurazioni e materie finanziarie”, e la sorella di quest’ultimo, Tommasina Cotroneo che è giudice per le indagini preliminari.
Poiché queste persone, aggiunge Forgione, lavorano in uffici diversi, formalmente ”conflitti d’interesse, ovviamente, non ne esistono,.ma c’è sempre un ma”.”A Reggio – dice l’ex presidente dell’Antimafia – queste sono cose che conoscono tutti o forse nessuno. In ogni caso nessuno ne parla né ci ha mai trovato niente di strano (…) Certo nel giudicare il lavoro delle singole persone e dei singoli magistrati non ci possiamo fare condizionare dai loro legami famigliari. Ma nessuno ci può convincere, che qui, in Calabria, sia giusto e normale continuare ad andare avanti così”.
il filo delle parentele è una delle chiavi narrative del libro. Forgione ha ricostruito numerose storie famigliari, in particolare quella dei potenti capimafia Piromalli, raccontata come una saga. Anche in altre vicende l’Autore segue spesso il filo delle parentele e fa notare che a volte esse collegano persone e ambienti formalmente separati o contrapposti. E a volte portano a persone legate alla ‘ndrangheta. Forgione ricostruisce fra l’altro gli sviluppi delle indagini sulle bombe esplose il 3 gennaio 2010 davanti al palazzo di giustizia di Reggio Calabria, sottolineando che dalle indagini sembra emergere qualcosa di diverso rispetto alle schematiche interpretazioni dei primi giorni.
Francesco Forgione, 52 anni, calabrese di Tiriolo (Catanzaro) è un uomo politico e un esperto di mafia e di ‘ndrangheta. Ha pubblicato numerosi saggi. Ha insegnato sociologia delle organizzazioni criminali all’Università dell’Aquila. Dal 1996 al 2006 è stato capogruppo di Rifondazione Comunista all’Assemblea Regionale Siciliana e dal 2006 al 2008 è stato deputato del PRC e presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. In questa veste ha firmato la prima Relazione interamente dedicata alla ‘ndrangheta. Il primo documento della Commissione mette a fuoco per la prima volta il ruolo internazionale assunto dalla potente mafia calabrese, su cui si erano accesi i riflettori solo dopo la Strage di Duisburg del 15 agosto 2007.
“Porto franco” è un’inchiesta giornalistica aggiornata sulla Calabria, “un viaggio e un ritorno” di Forgione nella sua terra della quale mette in luce aspetti, vicende e carriere personali che stentano ad avere l’attenzione pubblica che meriterebbero, anche a livello giudiziario. Ad esempio, Forgione si chiede perché la Procura Generale di Palermo, nel 2008, non valorizzò le trascrizioni di intercettazioni telefoniche fra il senatore Marcello Dell’Utri (imputato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa) ed emissari della ‘ndrangheta.
“Ho voluto fare un viaggio nella terra che amo e nei suoi drammatici problemi. Ho descritto il ruolo invasivo della ’ndrangheta sul territorio raccontando storie di persone. Ho consultato atti giudiziari e documenti di inquirenti. Ho acquisito ulteriori informazioni incontrando alcuni protagonisti e alcune persone informate. Non è stato facile. Molte persone hanno rifiutato per paura. Altri, seppure esitando, mi hanno aiutato, ma quando il libro è stato pubblicato non sono riuscito più a contattarle. Sembrano sparite. Non rispondono alle mie telefonate. Anche organizzare presentazioni pubbliche del libro è stato difficile. Sono riuscito a presentarlo a Cosenza, a Polistena, a Isola Capo Rizzuto grazie all’impegno di Libera e di don Pino De Masi. Ma non sono ancora riuscito a presentarlo a Reggio Calabria e nella Piana di Gioia Tauro”, alle cui vicende è in gran parte dedicato”.
Cosa pensa di questa maxi richiesta di risarcimento da parte del Procuratore Generale Di Landro e della figlia? “Chiaramente – risponde Forgione – è un’intimidazione. So come funzionano queste cose. Quando qualcuno cita in giudizio un giornalista per diffamazione chiedendo millecinquecento o quindicimila euro di danni, ciò vuol dire che vuole dei soldi, e il giornalista deve prepararsi a darglieli nell’eventualità di una condanna. Se invece il querelante chiede dieci o quindici milioni di euro non punta ai tuoi soldi. Vuole intimidire. Ma con me queste cose non funzionano. Io non mi faccio intimidire”.
“Forse il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, pensava che la sua richiesta di risarcimento danni sarebbe rimasta un fatto privato ed invece – ha scritto Forgione in una nota diffusa dopo la pubblicazione della notizia – contribuirà a rendere pubblica e confermare i rapporti personali e familiari che lo collegano a ben noti e più che discussi personaggi della città. Rispetto alla richiesta di risarcimento danni – ha aggiunto - - sono assolutamente sereno perché i fatti da me raccontati vengono confermati dalla stessa memoria depositata, stranamente, presso un ufficio di mediazione di una provincia laziale, possibilità questa ormai esclusa dalle ultime norme approvate dal parlamento”. (http://www.ossigenoinformazione.it/?p=17420#more-17420)