Marchionne ha capito che la grande industria non può più essere solo nazionale. Ormai, in tempi di globalizzazione, le industrie devono esse globali, nel senso di dislocare nel mondo i loro stabilimenti secondo le necessità imprenditoriali, e di vendere a tutto il mondo. Non é stato facile che questo avvenisse in un'industria italiana, abituata al protezionismo di Stato. Ma i tempi sono cambiati, e chi non si adegua resta ai margini della modernità.
Ai margini della modernità sono rimasti i sindacati italiani. La loro politica é ferma agli ani '70 dell'altro secolo. Proprio nel 1970 é stato approvato lo Statuto dei lavoratori, che chiudeva un'epoca, senza aprirne una nuova. L'epoca che chiudeva era quella della ricostruzione del dopo guerra e dell'enorme sviluppo economico degli anni 50' e '60. Era allora necessario assicurare ai lavoratori, che avevano contribuito con sacrifici allo sviluppo nazionale, garanzie migliori, e fu fatto con lo Statuto. Le imprese in quel tempo reggevano bene e si sviluppano, anche con un sistema rigido del mercato del lavoro. Gli aiuti di Stato, le società statali o partecipate dallo Stato, la protezione delle nostre attività dall'ingresso dei prodotti stranieri assicuravano alle nostre industrie larghi margini di guadagno che controbilanciavano la minore capacità di gestire i dipendenti.
Con l'inizio della globalizzazione, con le liberalizzazioni conseguenti al rafforzamento della Comunità Europea e infine con l'Unione Europea é cambiato il quadro di riferimento delle imprese. Lo Stato ha smesso di aiutare le industrie, non potendo più salvaguardarle dalla concorrenza straniera. Nemmeno ha più potuto sovvenzionarle per l'obbligatorio rispetto della libertà di mercato. Così é sorto il problema di come fare utili nella concorrenza sempre più transnazionale. Le imprese avrebbero voluto un mercato del lavoro più flessibile, in entrata, nella gestione e in uscita, in modo da adeguare l'organico dei dipendenti alle esigenze del mercato internazionale. Se così fosse si potrebbe produrre di più e si penserebbe di meno a delocalizzare gli stabilimenti verso lidi stranieri. Questo é stato capito da numerosi giuslavoristi, che hanno proposto nuove norme in sostituzione del vecchio Statuto dei lavoratori. Guai, però, con questi sindacati a chi pensasse di modernizzare il rapporto di lavoro. Essi su questo mercato ingessato hanno costruito le loro fortune. Per loro dovrebbe durare così (malamente) all'infinito.
Poiché in questo Paese la forza dei sindacati é stata grande, e la classe politica dopo Craxi é stata debole, chiunque volesse riformare il mercato del lavoro incorreva nelle critiche e nelle contumelie dei sindacati. Non per nulla i tre sindacati maggiori - CGIL, CISL, Uil - sono stati chiamati da Marco Pannella, che pure non é di destra, la "Trimurti". A Marco Biagi, che preparava un riforma del mercato del lavoro, finì molto male: fu ucciso da anarchici favoriti da quel clima di odio che i sindacati avevano prodotto.
Il merito di Marchionne é stato quello di far uscire dall'Italia la Fiat, non potendo salvarla altrimenti. Il nostro Paese non gli permette di dirigere a modo suo l'Impresa? Bene, e lui ne trasferisce uno stabilimento altrove, o ne chiude uno in Italia. L'Italia resta ferma nella legislazione sul lavoro? Bene, e lui acquisisce quote sempre maggiori della Chrysler, in modo da avere sull'altra sponda dell'Atlantico un altro centro direzionale e produttivo più dinamico, per compensare la staticità italiana.
Leonardo Agate