Il direttore de "il Giornale" é stato condannato al carcere con sentenza definitiva per avere diffamato un magistrato a mezzo stampa. Sia che la sentenza si ritenga pesante, sia che si ritenga moralmente scorretta, é stata una decisione giudiziaria che é passata attraverso più gradi di giudizio, ed essendo divenuta definitiva doveva essere rispettata. Ma fin dal primo momento si é visto che la giustizia, avendo fatto regolarmente il suo corso fino all'emanazione della sentenza definitiva, non é riuscita più a percorrere il resto della via indicata dal Codice e dalle leggi. Sallusti sarebbe dovuto andare in carcere, ma non c'é andato.
Ho criticato con un articolo la sentenza di condanna, non perché la ritenessi sbagliata, ma perché ritenevo e ritengo che sia sbagliata la legge che commina il carcere per un reato non doloso di diffamazione. Volevo, e vorrei, che in materia di opinioni e di stampa si perseguissero con il carcere solo quelle espressioni lesive della dignità altrui commesse con l'intenzione di diffamare, non per semplice colpa o negligenza. In questi due ultimi casi, basterebbe a ristabilire la verità, e risarcire il diffamato, la pubblicazione in forma adeguata della rettifica e delle scuse. Se, invece, il giornalista diffamasse per diffamare, con intenzione, allora la sua condotta dovrebbe meritare più di una rettifica, e le scuse non dovrebbero escludere il carcere. Nessuno deve intaccare dolosamente la dignità altrui.
Dopo lo scoppio del caso Sallusti, é sorto in Italia il problema della modifica della legge sulla stampa e sulla diffamazione, che molti, compresa l'Unione Europea, considerano troppo repressiva. Nel finire inglorioso di questa legislatura, assieme a tante altre proposte, nemmeno la proposta di una nuova legge sulla diffamazione ha trovato il tempo di essere approvata. Restiamo con la punizione del carcere per le diffamazioni non intenzionali. Si può dire che la legge é arcaica e repressiva, ma é legge. "Lex, dura lex, sed lex", dicevano i latini.
Il caso é eclatante. Non é di tutti i giorni, ed anzi é avvenuto di rado e forse mai nell'Italia repubblicana, che un direttore di giornale andasse dentro per aver diffamato non intenzionalmente una persona, in questo caso un giudice di Milano. "il Giornale" in questione ha fatto tante campagne contro i mali veri o presunti della giustizia e dei giudici. E' possibile che stavolta i giudici abbiano calcato la mano, e avvalendosi di leggi antiquate ma vigenti, abbiano fatto pagare il fio al suo direttore.
Tutto comprensibile e tutto spiegabile, anche se non tutto giustificabile. Quello che non riesco a capire é la velocità con la quale si é mosso il presidente della Repubblica nel commutare la pena a Sallusti da personale in pecuniaria. Questo é un precedente grave. Se succedesse un altro caso simile il presidente dovrebbe applicare lo stesso potere di commutazione della pena. Allora si avrebbe una norma giuridica resa inefficace da un provvedimento amministrativo emanato da chi - il presidente della Repubblica - dovrebbe garantire la salvaguardia delle leggi, e invece le svuota di significato.
Che dire poi di tanti poveri cristi che per norme antiquate o assurde stanno dietro le sbarre, e nessuno si interessa di loro perché non hanno la notorietà di Sallusti, né la lobby giornalistica che lo ha protetto né la forza economica del suo editore? Essi sembrano figli di un Dio minore, e la loro sofferenza non commuove il cuore di chi abita al Quirinale. La grazia concessa a Sallusti suona per loro, e per me, come un'offesa.
Leonardo Agate